“Mi votu e mi rivotu suspirannu, passi li notti enteri senza sonnu” e allora allungo la mano e afferro il libro che da qualche tempo è in bella vista sul mio comodino tra la sveglia e una scatola di pasticche per l’insonnia . Il libro in questione è la silloge di Graziella Di Bella, una fine poetessa siciliana che nel suo “Tiresia lo sapeva”, Daimon Edizioni, 2023, canta con voce struggente e commossa delle sue radici, del suo passato: sia quello prossimo (i giorni dell’hashtag #andratuttobene) che quello remoto delle cornicette colorate con amore per la festa della mamma o di una TV accesa ad un volume troppo alto. Poesia dopo poesia si ricompone un puzzle dove è possibile scorgere tanti oggetti familiari, come le scarpe di lana confezionate ai ferri, la borsa dell’acqua calda, ma anche fichi d’india e piante di ginestra fimminina che, insieme all’Etna innevato, simboleggiano “l’umiltà e la forza di una Sicilia mai piegata”.
L’ autrice ci prende coraggiosamente per mano e ci accompagna tra i suoi ricordi, i suoi dubbi e le sue paure e lo fa utilizzando un linguaggio semplice e ricercato e un uso attento e bilanciato delle figure retoriche. I versi sono sempre brevi e densi di immagini che ci scorrono davanti agli occhi
velocemente ma in maniera nitida. All’esterno di una delle case di campagna raffigurate nel quadro di Erich Heckel “Dangast village landscape” Graziella Di Bella riesce a scorgere e ci fa vedere un nido di pipistrelli, un nido desiderato ed abusivo esattamente come “lo spettro dei miei perché che non mi lascia riposare”. Ma veniamo al titolo: “Tiresia lo sapeva”, che poteva altrimenti essere ’ “L’inevitabilità del destino” o “Il mio Daimon”. Era sicuramente scritto da qualche parte che la Di Bella dovesse diventare la poetessa profonda e raffinata che è diventata.
Al di là di questo, anche sforzandoci; non possiamo trovare analogie concrete e credibili tra Tiresia e la nostra autrice.
Mentre Tiresia è cieco, e questa cecità è in realtà la condizione perché egli possa assolvere al suo ruolo di indovino, Graziella invece ci vede benissimo e non ha bisogno di doti divinatorie per comprendere quale sarà la condizione nella quale vivranno quelle bambine “vestite da sposa e con gli occhi sgranati” con “i capelli raccolti con mille forcine come chiodi trapuntati nel cranio” .
Ora, “quel cuore impazzito arrovellato da mille emozioni” che per troppo tempo ha battuto “mesto in una scatola di latta”, pulsa con vigore nelle pagine di una silloge piena di graffi e di carezze, una sorta di fico d’india del quale ne gusti la polpa dolcissima una volta che riesci ad evitare le acuminate spine del suo involucro esterno.