Kitchen Poetry: un manifesto poetico per l’emergenza
Si chiama Kitchen Poetry, è il nuovo appuntamento che va a rinforzare il già corposo calendario del Kitchen Mon Amour, dinamico locale di Via San Donato, a Genova che tanto sta facendo per tenere viva la vita culturale cittadina anche in questo momento di estrema difficoltà.
foto tratta da www.genova24.it
Cinque serate con la poesia performativa, un genere che sta spopolando in Italia e che ha trovato nella Liguria e in Genova in particolare un terreno estremamente fertile, soprattutto per quello che riguarda il mondo del poetry slam, le gare di poesia a giudizio popolare di cui il capoluogo ligure ha ospitato già due volte le finali nazionali.
Sul palchetto del Kitchen Mon Amour Poesie che si sentono, e si vedono questo è il calendario delle performance di questi giorni 𝟐𝟐/𝟏𝟎 – 𝐅𝐢𝐥𝐢𝐩𝐩𝐨 𝐁𝐚𝐥𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 𝟎𝟓/𝟏𝟏 – 𝐀𝐧𝐝𝐫𝐞𝐚 𝐅𝐚𝐛𝐢𝐚𝐧𝐢 𝟏𝟗/𝟏𝟏 – 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐀𝐠𝐫𝐚𝐭𝐢 𝟎𝟑/𝟏𝟐 – 𝐋𝐮𝐜𝐚 𝐂𝐚𝐧𝐜𝐢𝐚𝐧 ✦ 𝟏𝟕/𝟏𝟐 – 𝐄𝐦𝐚𝐧𝐮𝐞𝐥𝐞 𝐈𝐧𝐠𝐫𝐨𝐬𝐬𝐨 Ogni serata sarà aperta (alle 19:30) dall’esibizione di un poeta della scena genovese del poetry slam.
In tempo di attenzione al contagio, di lockdown ristretti e allargati, di mascherine, distanziamento sociale, l’attenzione alla poesia diventa l’attenzione alla parola. E poiché la parola è il respiro, l’attenzione va a questa mancanza d’aria di respiro di cui soffre chi viene contagiato. L’attenzione dunque ad una emergenza fisica che spoglia l’anima di una delle sue grandi difese l’amore per la parola che istituisce e costituisce l’essenza del mondo.
E dunque solo in emergenza come scrive Giorgio Linguaglossa poteva nascere una poesia dell’emergenza che non è la poesia della guerra, la poesia delle grandi catastrofi naturali, che è poetry kitchen, poesia della cucina. E perché la cucina? Perché nella cucina si avverano i più grandi prodigi per il palato, è vero, ma anche per l’economia, le finanze e la cultura. Ovvero la cucina mette assieme ogni volta ingredienti diversi e ogni volta riesce ad amalgamarli. Magari le operazioni sociali e politiche riuscissero a fare quello che fa la cucina. Certo la cucina non è la scienza galileiana che tende a ripetere l’esperimento con gli stessi elementi ad ottenere sempre lo stesso risultato. La poesia dell’emergenza diventa in questo senso “cucina” ovvero riesce a “cucinare” nel senso di quello che abbiamo appena sostenuto il reale. Lo spiega così Giorgio Linguaglossa che con i suoi amici attorno alla rivista il Mangiaparole e poi nel blogspot lombradelleparole.wordpress.com coltiva appunto la poetry kitchen: “La nostra poesia, la poetry kitchen, è un genere di poiesis che può sorgere e proliferare soltanto in concomitanza con una emergenza, infatti essa emerge in contemporanea con la Sars Cov2 o Covid19, quando il mondo sembra saltato come da un fungo atomico, il nuovo reale emerge dall’oscurità del precedente reale e pone nuovi problemi filosofici, politici, etici e poietici. È il reale che preme, emerge, viene alla ribalta e decide del tramonto della vecchia metafisica e della vecchia patria linguistica delle parole. È il reale che decide della decadenza di interi generi letterari tradizionali, compreso il genere della antologia. È il reale che ha derubricato la tradizionale critica letteraria in pourparler, è il reale che ci spinge alla ricerca di nuovi strumenti e metodi di fronte allo strapotere dell’industria dell’intrattenimento culturale.
Decostruzionismo, critica reader oriented, teoria della ricezione, neoermeneutica, new historicism, cultural studies, hanno indirettamente posto in evidenza un problema divenuto palese: quello della perdita di funzione della tradizionale critica letteraria, di avere cioè l’esclusiva nel giudicare e promuovere le nuove opere, giudicate e promosse, piuttosto, dal mercato e dalle Istituzioni deputate.” (1)
Precisando proprio a proposito della metaforica cucina: “La poesia ha finalmente fatto ingresso in cucina, ha lasciato i salotti degli intellettuali e gli androni con le colonne neoclassiche delle abitazioni borghesi e si è introdotta in cucina. È un’attività piccolo-borghese al tempo stesso ordinaria e generica (poiché tutti mangiamo, quindi appartiene al genere), quotidiana e individuale poiché il cibo viene preparato ogni giorno da ciascuno di noi. Nella sua dimensione ordinaria e quotidiana, la cucina soddisfa i nostri bisogni più immediati, si lega alla dimensione intima della casa, assolve un bisogno umano ma anche, consente differenze di stile e ingegnosità, fattori che producono piaceri fisici e intellettuali. Le possibilità estetiche della cucina sono dunque presenti fin dall’inizio della storia dell’homo sapiens in quella che si può definire come il sito dell’abitare per eccellenza qual è la casa, con il suo logo più importante: la cucina come luogo di confezionamento e consumazione dei cibi.
Poetry kitchen dunque come manufatto costruito in casa con gli utensili che abbiamo sotto mano tutti i giorni: i piatti, le padelle, il coltello, la forchetta, il sale, lo zucchero, lo zenzero e la curcuma, gli aromi… senza il bisogno di indossare panni aulici o «sartorie teatrali». Scrivere in modo dimesso e dismesso, senza fronzoli o abissali angosce o insondabili epifanie; una poesia, diciamo, frittura di pesce, poesia omelette, poesia usufritta, fatta in padella, ascoltando il tiggì de “La 7” e i telegiornali di regime, magari masticando delle noccioline o trangugiando patatine fritte. (2)
Scrive Slavoj Žižek: «Tramite il coraggio delle avanguardie artistiche, dal futurismo a dada, dal surrealismo al ready-made, sino al loro prolungamento nel dedalo dell’arte concettuale post-bellica, la provocazione è divenuta oggi una pratica non più provocatoria e una forma codificata. [É] in grado forse di darci qualche segno, qualche storta sillaba intorno alla nostra contemporaneità».(3)1
Fantasmi, avatar, sosia, diplopia, salti spaziali e temporali costituiscono una metodologia del poetico in cui coesistono e coincidono elementi assolutamente contraddittori del soggetto che trovano luogo nella testualità della poetry kitchen che così risulta essere un prodotto di ibridazione e di eterogeneo, implantologia di elementi estranei e disparati. Una prassi di liberazione dell’immaginario è l’impegno concreto della nuova poesia, un nuovo progetto di impegno etico per il presente e il futuro.
E continua Žižek: «ll potere dell’immaginazione nel suo aspetto negativo, distruttivo, disgregante, in quanto potere che dissolve il continuum della realtà in una molteplicità confusa di oggetti parziali, apparizioni spettrali di ciò che in essa esiste solo come parte di un organismo più grande?»(4)
Ma per tener conto dunque di questa nuova poesia i frequentatori e sostenitori fanno ricorso ad Adorno che dice : “ Porre in luce dei «significati» a partire da presupposti che restano in ombra, questo è il compito proprio della poiesis. Le conclusioni che la poiesis mette in luce, proprio in quanto messe in luce, sono evidentemente un significato, il cui fondamento, retrocedendo sullo sfondo, non può essere esibito. Anche l’attività ermeneutica accade, cioè, a partire dall’ombra e anche laddove essa volesse far luce dietro di sé, sulla propria zona in ombra, di nuovo, illuminando, proietterebbe l’ombra dietro di sé. Le conclusioni dell’ermeneutica si trovano dunque catturate entro la stessa dinamica che vorrebbero indicare e chiarire. Questo paradosso è la sfida che si pone al pensiero contemporaneo e con cui si trova a doversi confrontare la riflessione teoretica successiva a Heidegger. Il design moderno si struttura secondo relazioni metonimiche che rimandano sempre ai propri elementi, senza tradire alcun tipo di trascendenza metaforica tipica della abitazione tradizionale. Così, gli oggetti passano dalla sussunzione di un mondo di significati stabili a livello profondo ad una codificazione autoreferenziale basata esclusivamente sulla logica dei significanti. L’abitazione domestica, un tempo focalizzata verso il centro dalla presenza degli specchi in ordine concentrico, smarrisce la propria visione unitaria nella separazione delle unità di ogni stanza, perde il proprio focus, il proprio significato simbolico profondo. Il battito segnato dal rintocco dell’orologio antico significava il valore positivista della storia che si rifletteva nel successo sociale della famiglia borghese. Nella abitazione moderna invece l’oggetto antico non significa il tempo reale della storia ma quello della storialità, il tempo della moda (l’attrazione fatale per il presente assoluto) e del design. Il riferimento è esclusivamente alla logica autoreferenziale del consumo. Qualsiasi trascendenza è abolita, sostituita da un calore funzionale, freddo in conseguenza della mancanza di una reale fonte di calore. È questa per esempio la logica di significazione dei colori nel design di interni – una logica di differenze interne al sistema stesso,una catena di significazione costruita sulla superficie dei significanti. “
E così che la kicthen poetry diventa la nuova poesia intesa da Adorno come: “Nella nuova poesia il sistema relazionale dei significanti non si struttura secondo la logica della colonna sonora ma tende ad assumere la relazionalità tipica dei segni, la semantica tende a retrocedere a semiotica, a sistema di segni freddi e autoreferenziali. Questa economia politica del sistema poetico è qualcosa con cui la nuova poesia deve fare i conti, la nuova poiesis non può sottrarsi a questa responsabilità, anzi essa tende sempre più a posizionarsi in base al sistema raffreddato dei segni come proprio habitat reale, in una sorta di spaesamento strutturale dei significanti che tendono a retrocedere a segnaletica significante, ad auto illusione, ad atto magico, al rinvio ad una esistenza che risponde alla logica di atti illusori, ad una vita che è diventata undimensionale, superficiaria, una vita che è retrocessa a «nuda vita». (5)
È nota la tesi di Adorno circa il carattere di immagine di ogni opera d’arte che «è res che nega il mondo delle res». La res che la poiesis pone è una posizione di significati che negano le res dei significati cosificati del mondo delle res. Adorno accenna a questa posizione oppositoria, di inconciliabilità che si instaura tra le res della poiesis e le res dei significati reificati dell’ontologia sociale. È da qui, da questo filo conduttore che dobbiamo proseguire nella nostra riflessione sulla nuova poiesis.
Anche Heidegger, nel saggio su L’origine dell’opera d’arte, parla del carattere di «cosa» dell’opera d’arte. Ma la differenza è che Adorno pone grande insistenza sulla sua natura di «immagine» delle res propria della poiesis. Scrive Adorno:
«Come “apparition”, come manifestazione e non come copia, le opere d’arte sono immagini. Se attraverso il disincanto del mondo la coscienza si è liberata dell’antico brivido, questo si riproduce però permanentemente nell’antagonismo storico di soggetto e oggetto. L’oggetto è divenuto così incommensurabile, estraneo, pauroso all’esperienza, come una volta fu solo il Mana. Se l’apparition è lo sfavillio, l’esser toccato, allora l’immagine è il tentativo paradossale di avvincere questo massimo di fuggevolezza. Nelle opere d’arte un elemento momentaneo arriva alla trascendenza; l’obiettivazione rende l’opera d’arte attimo»
Gino Rago in “Poetry Kitchen: Antefatti ideologico-estetici” dice: “ La Poetry kitchen viene dalla ricerca di una Nuova ontologia estetica.
Il poeta della NOE fa suo l’assioma secondo cui:
– I segni dello sfacelo sono il sigillo di autenticità dell’arte moderna.
Per tale via maestra egli adotta la poetica del frammento come elemento costitutivo d’una sua personale ontologia estetica.
La quale, partendo dalla morte di Dio, assume in sé la constatazione della fine della visione platonico-cristiana del mondo e della conseguente scomparsa del centro dell’uomo nel mondo.
La sua ricerca d’arte ne prende atto e si muove nella persuasione della decadenza
– della verità assoluta,
– della impossibilità di ricondurre la frammentarietà ad una unità di senso. Entrando nella filosofia del frammentismo, il poeta della NOE assume il “frammento” come cifra caratteristica della ipermodernità poiché alla sua personalissima lettura il mondo ipermoderno si pone sotto il segno
– della deflagrazione del senso,
– della dispersione, dell’astigmatismo scenografico,
– della moltiplicazione delle prospettive,
– della crisi e della inadeguatezza espressiva di un “unico”linguaggio. (6)
E dice ancora Giorgio Linguaglossa: “ La poetry kitchen ha un concetto fortemente etico del fare.
Non è compito della poetry kitchen fondare scuole, istituire peripati o gerarchie poetiche, commerciare o negoziare o rappresentare alcunché, né entrare in relazione con alcunché; la poetry kitchen non si pone neanche come mera risorsa stilistica o come un contenuto veritativo che non c’è, ma come effetti di un contenuto veritativo che rimane occultato, effetti di effetti, riflessi di riflessi. Si pone semmai come un fuori questione della poiesis. La poetry kitchen può essere considerata una pratica, né più né meno, un facere. Così è se vi piace.
La poetry kitchen è un ossimoro. In greco, oxymoron vuol dire «acuta follia». C’è, infatti, dell’acuta follia a mettere insieme termini in apparenza così distanti e inconciliabili come il pop, cioè il popolare, e la poesia, la disciplina più elitaria, almeno se la si pensa in termini di disciplina di nicchia riservata ai professionisti della «poesia». Ma, se si esce da questa visione angusta e mortifera che concepisce la poesia come un discorso fatto da cerchie ristrette di professionisti auto nominatisi «poeti» per cerchie ristrette di altri auto nominati «poeti» che non sempre si capiscono tra di loro, ecco che allora l’ossimoro non sarà più tale.(7)
In conclusione sempre per bocca anzi dalla penna di Giorgio Linguaglossa (8) : “La poetry kitchen vuole rimettere tutto in discussione, in primis l’Immaginario maggioritario e il logos che lo racconta. Il movimento della coscienza è intenzionale e inintenzionale insieme, noi vediamo solo le cose che l’inconscio ci suggerisce e non altro. Nel caso dell’immagine il correlato della coscienza è preso di mira come ciò che non è sottoposto al mio sguardo, anzi, che non dipende dal mio sguardo, anzi, tanto meno dipende dal mio sguardo tanto più quella immagine sarà vera, sarà «istanza di verità». Sono «istanza di verità» anche ciò che viene espulso dalla «verità», ciò che non è ritenuto degno di entrare nella «verità».
È questa la novità della poesia buffet. O poetry kitchen. (9)
NOTE
(1) https://lombradelleparole.wordpress.com/
(2)https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/08/28/poetry-kitchen-la-poesia-ha-fatto-ingresso-in-cucina-e-una-attivita-piccolo-borghese-ordinaria-quotidiana-poesie-di-marie-laure-colasson-lucio-mayoor-tosi-riflessione-di-giorgio-linguaglossa-p/
(3) I. Pelgreffi, Slavoj Žižek, Orthotes Editrice, Napoli-Salerno 2014, p. 31
(4) S. Žižek, Il soggetto scabroso. Trattato di ontologia politica, tr. it. a cura di D. Cantone e L. Chiesa,Cortina, Milano 2003, p. 37.
(5)Th. W. Adorno, Teoria estetica, a cura di E. De Angelis, Torino, Einaudi 1975, p.172.
Ivi, pp. 121-122
(6)https://lombradelleparole.wordpress.com/2020/10/17/gino-rago-vicissitudini-della-gallina-nanin-poetry-kitchen-antefatti-ideologico-estetici-dalla-nuova-ontologia-estetica-alla-poetry-kitchen/
(8)Giorgio Linguaglossa Roma
Biografia: Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica “Uccelli” e nel 2000 “Paradiso”. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, con Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica». È del 2002 “Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte”. È del 2006 “La Belligeranza del Tramonto”. Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo». Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) e il romanzo Ponzio Pilato; nel 2011 Dalla lirica al discorso poetico. La Poesia italiana dal 1945 al 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia “Blumenbilder (natura morta con fiori)”, Passigli, Firenze, e il saggio critico «Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea», Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono “La filosofia del tè. (Istruzioni sull’uso dell’autenticità)”, Ensemble, Roma e l’Antologia Selected poems “Three stills in the frame” (1986-2014) Chelsea Editions New York. Nel 2016 pubblica il romanzo “248 giorni” (Achille e la Tartaruga) e l’Antologia di poesia italiana contemporanea, a sua cura, “Come è finita la guerra di Troia non ricordo” (Roma, Progetto Cultura) con il medesimo editore ha pubblicato nel 2017 una monografia critica sul poeta Alfredo de Palchi “La poesia di Alfredo de Palchi”, nel 2018 pubblica la raccolta di poesia “Il tedio di Dio” e nel 2019 Chelsea Editions pubblica l’Antologia di poesisa “How The Trojan War Ended I Don’t Remember” email glinguaglossa@gmail.com
Ecco alcune composizioni di kitchen poetry
Voleva solo partecipare
Il corrimano sale fino al terzo piano e buca il finestrone.
«Hai caldo pure tu Luna?»
O due calici rasi sono sufficienti a immaginarti porno?
Confucio regalava sempre una goleador
a chi calciava un esempio di virtù nella comunità avversa.
«La società liquida è durata meno del previsto»
il Covid voleva solo partecipare
però la temperatura è scesa appena di tre gradi
e i barbecue non hanno fatto un fiato.
Il basilico dei vicini la sera si finge morto
di fronte alle nostre serie TV preferite.
«Jesse, non lasciarlo andare. Getta le chiavi dell’auto nel dirupo
non resisterà più di due puntate alla tua neurodiversità.»
Con il coltello sotto il cuscino
Passa tutto il giorno attorno a un solo buco di groviera
e non lo sa che non produce ossitocina.
Il topo autistico da laboratorio
guiderà le distrazioni umane?
L’endocrinologo ha disegnato i bottoncini sotto le mammelle
La bilancia non porta un filo di trucco
e dichiara tre chili in più
da colare su una mutilazione priva di display.
Halloween non è mai presente quando serve
e non risponde al telefono.
Qui dormono tutti con il coltello sotto il cuscino
di notte girano i cacciatori di soci Coop.
[Alfonso Cataldi è nato a Roma, nel 1969. Lavora nel campo IT, si occupa di analisi e progettazione software. Scrive poesie dalla fine degli anni 90; nel 2007 pubblica Ci vuole un occhio lucido (Ipazia Books). Le sue prime poesie sono apparse nella raccolta Sensi Inversi (2005) edita da Giulio Perrone.]
Tre poesie
La simulazione della primavera ha quattro costole incrinate, davvero partiresti?
Le coste deserte affettano portamenti dandy, sopraggiungono in sordina. La canoa o un fuoribordo?
Nelle tasche un volantino di poesia a metaprezzo. La riduzione è sugli scaffali.
Qualche spicciolo per ascoltare una voce. Dall’alto di un drone è sopraggiunta una carezza.
Proporre le uniformi di centomila cuochi in cottura. Un Fondo di Recupero italiano.
La proposta la conoscete: lasagne al pesto
a Portofino!
Il mare è un clacson, sono nel ramo frigidaire.
con brio. Andante.
La poesia un luogo stretto
Si perde il passo, non la mente. Negli anni poi si resta affascinanti dal comune.
Le piazze, la vertigine. Mamma mi diceva di smetterla. Al contrario mi innamoravo.
Si, penso che la poesia sia un continuo innamorarsi dei luoghi. Una rinuncia ideale.
Una rinuncia programmata. Al telefonino, ad una bella macchina, al prato verde, agli stercorari.
Poi è facile ritrovarsi in una pozza. Ridimensionare il mare. Accompagnarsi al niente.
La nostra condizione esistenziale è ben descritta in questa composizione di Mauro Pierno: il «Come stare in un negozio di abbigliamento/ alla ricerca del capo perduto»; una sorta di attesa in un luogo affollato da manichini e da giacche e pantaloni che pendono dalle stampelle in vetrine lucidate. È la straordinaria capacità che l’uomo moderno ha di abitare luoghi neutri, cacofonici, impermeabili, asettici, de-politici, la versatilità di abituarsi a vivere in luoghi e condizioni asintomatiche, ultronee. Una situazione da malati psichiatrici gravi, nella quale «Giasone e camicie per me pari sono»; dove, in quale direzione dirigersi? «destro o sinistro, quale cercavi?», chiede una voce. La risposta di un interlocutore presente nella scena è significativa per il suo essere palesemente fuori-luogo, fuori-tema: «Un papillon di seta blu». (g.l.)
[«Mauro Pierno è nato a Bari nel 1962 e vive a Ruvo di Puglia. Scrive poesia da diversi anni, autore anche di testi teatrali, tra i quali, Tutti allo stesso tempo (1990), Eppur si muovono (1991), Pollice calvo (2014); di alcuni ne ha curato anche la regia. In poesia è vincitore nel (1992) del premio di Poesia Citta di Catino (Bari) “G. Falcone”, è presente nell’antologia Il sole nella città, La Vallisa (Besa editrice, 2006). Ha pubblicato: Intermezzo verde (1984), Siffatte & soddisfatte (1986), Cronografie (1996), Eduardiane (2012), Gravi di percezione (2014). È presente in rete su “Poetarum Silva”, “Critica Impura”, “Pi Greco Aperiodico di conversazioni Poetiche”. Le sue ultime pubblicazioni sono Ramon (Terra d’ulivi edizioni, Lecce, 2017). Ha fondato e dirige il blog “ridondanze”.]
ALINA OVVERO TROTTOLE PATTINANO SUL FUOCO
Alina crea musica per Don Quijote
E il conto dei reincarnati non torna.
Suo il volo su un ramo d’oro e dunque
la medaglia che afferra il petto.
…
Alla domanda:- tu come vorresti rinascere
la gabbia rispose “cardellino”
ma si aprì un cratere sotto i piedi
per rivedere la lava del 79.
In effetti il cruscotto e le mani attaccate
vedevano un buco sul sedile del guidatore
il posto delle domande era accanto al crick
nel portabagagli ci si eleva facilmente.
:-Un’ombra seduta vale quanto un uomo?
Che serve saperlo all’estinzione?
Tutti questi sforzi per allargare
una bolla che si gonfia da sola.
…
Dio creò le rotatorie abbandonando i semafori.
Ora si tratta di capirne il motivo.
C’è sempre una luna verde che non cede il posto
E soprattutto crede di avere il rosso nelle vene.
: -Non mi guardano i cartelloni con la tigre.
Si esprimono meglio i pini su via Napoli
E se intervengono i colombi, è per dire
Che il neon non si mescola all’ asfalto.
Il trucco è negli occhi di Cabiria
Sotto ponte Adriatico
…
Nemmeno il conto dei buchi torna. Bisognerebbe stuccarli
E aspettare un miliardo di notti per farli secchi.
Ma il tempo sa come andarsene in fretta.
Il diamante sul comò mostra una crepa nelle risposte.
Il lungo periodo ha generato domande insostenibili.
Perdere acqua, sfiorire sotto gli occhi
Cotto a zero Kelvin e a cielo morto.
Quest’anno le galline partoriranno stelle
e viceversa la Via Lattea Rodolfo Valentino.
Anche la certezza si mescola ai pini.
Crea bolle e mostra che ogni tronco è un prisma.
Il gatto nero s’è dissolto nello scafo
All’ avvio modulava un lamento materno.
Ma non mosse un artiglio
per afferrare una ragno di TV.
Alina invece ha un salto triplo
Per fotoni del big bang.
Il risultato? Un Sole nella cucina
di passaggio tra frigo e lavatrice.
Uno degli Universi paralleli
al Botero sul divano, ovvio.
Francesco Paolo Intini (1954) vive a Bari. Coltiva sin da giovane l’interesse per la letteratura accanto alla sua attività scientifica di ricerca e di docenza universitaria nelle discipline chimiche. Negli anni recenti molte sue poesie sono apparse in rete su siti del settore con pseudonimi o con nome proprio in piccole sillogi quali ad esempio Inediti (Words Social Forum, 2016) e Natomale (LetteralmenteBook, 2017). Ha pubblicato due monografie su Silvia Plath (Sylvia e le Api. Words Social Forum 2016 e “Sylvia. Quei giorni di febbraio 1963. Piccolo viaggio nelle sue ultime dieci poesie”. Calliope free forum zone 2016) – ed una analisi testuale di “Storia di un impiegato” di Fabrizio De Andrè (Words Social Forum, 2017). Nel 2020 esce per Progetto Cultura Faust chiama Mefistofele per una metastasi. Una raccolta dei suoi scritti: NATOMALEDUE” è in preparazione.
6 commenti su “Kitchen Poetry: un manifesto poetico per l’emergenza”
Inno alla donna
A te m’inchino,
dolce e amabile creatura,
a te che del creato
rappresenti la forza prima
e il motore propulsore della vita!
Di certo non fosti tu,
agli albori dell’umanità,
ad avere origine dall’uomo,
ma fu lui a derivare da te.
Ecco perché nei millenni
ha egli sempre avvertito
l’esigenza di ritornare
da dove era provenuto
per compenetrarsi con te
e deliziarsi del tuo corpo;
soprattutto per dar vita gioiosa,
nel tuo grembo fecondo,
a nuovi umani germogli.
Da te quindi nacque,
come pure prolificò numerosa,
l’antropica specie;
da te originarono i principi
che l’attivarono e l’avviarono
verso i suoi ignoti destini,
i quali nei lunghi secoli
non hanno mai smesso di stupirci
e si sono sempre dimostrati
tanto inimmaginabili
quanto elettrizzanti e arcani.
A te, enigmatico essere,
i sovrani affidarono le sorti
dei loro prosperi regni;
né agirono diversamente,
quando l’avverso destino
traballanti li rese.
Alla stessa stregua,
fosti tu sempre trattata
anche da eroi e condottieri
che a te consacrarono orgogliosi
i primi le loro gesta
e le loro vittorie i secondi,
dopo che nel tuo nome
con temerità incredibile
le ebbero compiute gli uni
e conseguite gli altri
tra grandissime ovazioni.
Le indubbie tue doti, a ogni modo,
quelle che davvero ti fecero onore,
donna mirabile e seducente,
furono la grazia e la leggiadria:
una volta a esse paragonate,
si videro sminuire il loro prestigio
perfino le bellezze più rinomate
dell’incomparabile universo.
Anzi, fin dal loro primo esistere,
tali tue doti lusinghevoli
si diedero a ispirare cantori e poeti;
perciò essi vollero giustamente
decantarle con inni e carmi di pregio,
che sarebbero dovuti poi restare
La post@ de Il Mangiaparole n. 12
di Gino Rago
Domanda di Rodolfo Settimi
Leggo ne lombradelleparole.wordpress.com che «nella poetry kitchen si verifica un continuum non discontinuo, non oppositivo. Ciò accade in quanto ogni dimensione diventa un altro da sé in uno svolgimento, senza scambio né attraversamento di soglie o discontinuità. Nel nastro di Möbius ogni dimensione spaziale precipita nel suo opposto senza andare oltre la soglia del continuum.
Così nella poesia kitchen di Gino Rago o di Marie Laure Colasson tutto accade in virtù del continuum, per via dello statuto non oppositivo del Reale, dove si passa da un personaggio all’altro attraversando i secoli (Antonio e Cleopatra), oppure mettendo in comunicazione telepatica e geografica, oltreché storica, gli autori della nuova poesia (Mario Gabriele, Lucio Mayoor Tosi, Francesco Paolo Intini, Mauro Pierno, Ewa Tagher), facendo interagire oggetti disparati come la pallottola, la gallina Nanin e la giacca di Magritte. Sono questi oggetti a costituire l’orditura del Reale. O meglio, è per il tramite della ribellione degli oggetti che possiamo gettare uno sguardo all’interno del Reale. Nella poesia di Marie Laure Colasson abbiamo un gioco di maschere e di sosia che si scambiano il posto e le identità (Eredia, la bianca geisha, Francis Bacon etc.) in una fantasmagoria che segue le leggi dell’inconscio e, in particolare, quel vuoto causativo del Reale che si rivela essere la soglia più intima (ed estranea) della soggettività.
Gli oggetti e i personaggi della nuova poesia kitchen sono come situati su un tappeto volante o nastro magico che, scorrendo, ci mette in scena la coreografia e la scenografia di un Reale che non conoscevamo, gli scenari di un retro-Reale o sopra-Reale.
La configurazione topologica di questo nastro magico è dunque tale per cui in esso non c’è una cosa che si rovesci nel suo altro, perché prima non c’è alcuna cosa, ma solo un piano assoluto di un continuum senza opposti, senza contrari, senza discontinuità.»
Confesso che ho le idee confuse. Potete spiegarmi la poetry kitchen con altre parole?
*
Caro Rodolfo Settimi,
– L’unità vera di un testo non risiede nella sua origine (l’autore/l’autrice) ma nella sua destinazione finale (il lettore/la lettrice).
– Non si dà testo se non c’è un lettore/una lettrice che l’attraversi.
– Il vero nucleo di interesse dunque non può essere più l’autore/l’autrice del testo ma colui/colei che lo legge.
Non è un caso che anche sull’orma de La morte dell’autore (1968) di Roland Barthes, Samuel Beckett abbia scritto: «Che importa chi parla, qualcuno ha detto, che importa chi parla».
La poesia adagiata sulla ontologia del novecento contempla il lettore nel ruolo di «consumatore-di-un- significato-fisso».
Secondo Roland Barthes i testi come quello della Achmatova (come i testi di tutta la poesia modernista italiana, ed europea), e di tutte le scuole, sono esempi di testi da definire «a significato fisso». Al contrario, la poesia kitchen rende il lettore non più soltanto «consumatore» di un significato, ma soprattutto un «produttore di significati»; il testo diventa policentrico, eccentrico.
Prendiamo un testo classico di poesia modernista incensata su un «significato» fisso:
Anna Achmatova
Vivo come il cucù dell’orologio,
non invidio gli uccelli dei boschi tuttavia.
Mi danno carica e io faccio cucù.
Però, lo sai che a un nemico soltanto
un tale destino augurerei.
(1911)
E adesso prendiamo in considerazione un testo della poetry kitchen di
Marie Laure Colasson.
Scendendo le scale l’allegria si rompe la gamba
strappa le sua calze retinate la sua veste molto corta
resta allungata sul marmo
Eredia la cura la mette nella sua borsetta coccodrillo
con il colore della collera e un libro di Max Jacob
La bianca geisha infila la mano nella borsetta coccodrillo
prende il libro di Max Jakob per conoscere il suo oroscopo
Il colore della collera avviluppa l’allegria
stinge su di lei la borsetta di trasforma in leopardo
corsa sfrenata verso la savana africana
Il coccodrillo abbandona allora la sua vecchia pelle
ormai inutile e la corica lungo il Gange
Eredia e la bianca geisha vanno al Central Park
per il gusto della derisione
leggono l’oroscopo a rovescio
Come si vede, la poetry kitchen si basa sulla ricusazione della poesia a «significato fisso», in favore della adozione di una poesia con una «pluralità di significati».
Roland Barthes, nel suo breve ma denso saggio La mort de l’auteur, sancisce, riconoscendola nella sua pienezza, la libertà del lettore di fronte al testo.
Anch’io penso che l’autorità autoriale non esista. L’autore non è altro che un luogo di incontro di linguaggi, citazioni, stratificazioni, ripetizioni, echi, referenze, interferenze. Ne consegue che il testo si sposta sul lettore, il quale esercita pienamente la sua libertà di «aprire» i significati.
Nella parte più importante del saggio Roland Barthes si concentra sulla distinzione fra i testi e li distingue tra:
– testi realistici (questi, a lungo e ancor oggi dominanti, si limitano a offrire al lettore «significati chiusi»;
– testi (fra cui quelli della poetry kitchen) che al contrario dei testi realistici sono in grado di incoraggiare, di invitare il lettore ad entrare nel testo in modo che lo stesso sia capace di produrre significati, ricorrendo anche al «parlato», ai salti spazio-temporali, alle interferenze del discorso, alla parallasse etc. Cioè, a tutti quegli espedienti retorici che consentono una struttura quadri-dimensionali del testo
Il testo di tipo «realistico» quasi esclude il lettore perché gli permette unicamente di essere il «consumatore» di un significato fisso, come accade per la poesia citata della Achmatova. definire «a significato fisso». Al contrario, la poesia kitchen rende il lettore non più soltanto «consumatore» di un significato, ma soprattutto un «produttore di significati»; il testo diventa policentrico, eccentricoIl secondo tipo di testi invece mira a trasformare il lettore da «consumatore» a «produttore». Il testo è aperto a una «pluralità di significati». Più si accentua la «mort de l’auteur» più il lettore entra nel testo per scrivere egli stesso la poesia.
*Roland Barthes, La mort de l’auteur (1968) in Id. Le bruissement de la langue, Seuil, Paris, 1984
(Gino Rago)
Gentile Sig. Rodolfo Settimi, grazie per aver letto l’articolo su Poesia femminile singolare e per aver voluto approfondire direttamente dalla fonte Lombradelleparole che ho citato e consultato, tra le altre, per far conoscere la poetry Kitchen, di cui quel sito si occupa attivamente. Quello che lei riporta nel commento è un dibattito a dir poco spinoso perché la poesia del Novecento per alcuni contempla il lettore come “consumatore” del solo significato che l’autore ha voluto dare al suo testo. Ecco dunque tutti gli sforzi di esegesi scolastiche e critiche per entrare proprio dentro il testo. Mentre per altri il testo poetico è un testo aperto a ogni possibile significato che solo i lettori riescono a dare, a secondo delle emozioni che suscita loro. Quello che la poetry kitchen, al di là di una serie di sfumature e di implicazioni con percorsi in molti settori del nostro patrimonio culturale, vuole dire è che non c’è poesia se non c’è lettore, che è già un canone. E quindi per ogni composizione esiste un ventaglio di significati, che provengono dai lettori tanto da influenzare la stessa realtà. Fino dunque ad arrivare ad una trasformazione della realtà perché il verso poetico scritto da un autore con un senso e un significato, muta la sua essenza nella mente e nel cuore del lettore e diventa qualcosa di diverso, portandosi dietro la trasformazione della stessa realtà che l’autore ha voluto rappresentare. Il verso diventa la realtà del lettore e siccome ci sono molti lettori il verso diventa molte realtà. La realtà si trasforma tante volte quanti sono i lettori che leggono quei versi. Dando così alla poesia una nuova funzione o tutta una serie di funzioni perché la realtà è policroma e quindi capace di riflettere il significato del verso che non ha più bisogno di una indagine esegetica per capire le intenzioni dell’autore (a volte anche oscure) ma diventa la solare immagine della vita di tutti i giorni. Ecco perché se vede qualche contributo sulla poetry Kitchen si parla di una “poesia della cucina”, proprio del cibo. Ma il discorso si farebbe lungo perché implica anche un’azione di liberazione della poesia. In sintesi io nell’articolo ho tentato di rappresentare questa nuova e contemporanea corrente della poesia e la ringrazio per avermi dato l’opportunità di questa ulteriore riflessione. Che se le è stata utile, confesso e mi scuso con i lettori, avrei potuto inserire nell’articolo per fare cosa utile al lettore. Valter Marcone
Gentile Valter Marcone,
La ringrazio per la Sua ben articolata risposta la quale, se da un lato, tenta di allestire convincenti risposte sul tema intricato dl rapporto autore/opera, autore/testo e della posizione dell’autore nel testo, dall’altro apre ad altre possibilità estetiche ed etiche, oltre che stilistiche.
Tuttavia, Lei, in assoluta buona fede, si intende, ha sbagliato interlocutore o se si vuole destinatario perché l’autore del commento cui Lei gentilmente risponde non è Rodolfo Settimi, ma lo scrivente, cioè Gino Rago.
Il paradigma del simulacro. La poiesis come evento del simulacro
Noi abitanti dell’ipermoderno telematico e telepatico respiriamo in un ordine di simulacri. Ci mostriamo e ci nascondiamo nell’anonimato dei simulacri, il passato è diventato un simulacro, che ci perseguita. Camminiamo, sorseggiamo il caffè, discutiamo del vero e del falso in uno spazio simulacrale. Lo spazio virtual-simulacrale è quello che decide dell’ordine simbolico e dell’ordine del reale. Solo che quest’ultimo nel frattempo è stato derubricato. Entrambi questi ordini noi li avvertiamo per mezzo della relazione simulacrale. Siamo tutti interconnessi in un ordine simulacrale-virtuale. La natura è scomparsa, è rimasto il «naturale» e la sua ideologia da strapazzo: il latte senza lattosio, la pasta senza glutine, la guerra al glifosfato, le istanze ecologiste, le focacce del Mulino bianco.
Il «naturale» è diventato una funzione dell’homo sapiens dominata dal codice della produzione. C’è natura (forza, energia, equilibrio ecologico) perché c’è produzione, ovvero perché il codice di dominio economico e semantico è operativo a partire dalla de-simbolizzazione e dalla de-socializzazione impostasi con la ipermodernità.
Pensare alla poiesis come ad una istanza indipendente dalla logica virtual-simulacrale e dalla logica della produzione della ipermodernità è una mitologia da anime belle, l’utopia della décroissance felice è un ideologema del populismo sovranista. La poiesis non è più un bisogno dell’homo sapiens, è una funzione, una prassi, un fare sottoposto alle leggi della tecnica e dipendente dalle leggi della produzione e del consumo di un mondo storico. Nella poesia kitchen o poesia buffet è avvenuto un fatto straordinario: che siamo dinanzi alla implosione dei registri del simbolico e del reale. È l’organizzazione semantica dei segni di un mondo storico che è andata in fumo e in cenere e non c’è araba fenice che possa resurgere da quelle ceneri.
Nel mondo non si dà sganciamento dell’oggetto-merce dal bisogno come fondamento naturale della prassi. Al contrario, la modernità si caratterizza proprio in virtù dell’implosione della categoria di bisogno. La reificazione dell’homo oeconomicus da modello astratto di attore socio-economico è diventato un modello medium. I bisogni sono di per sé un prodotto della repressione e il valore d’uso un alibi perverso del valore di scambio, e per questo né l’una categoria né l’altra possono offrire alcuna prospettiva di uscita dalla crescita esponenziale della alienazione. Alla luce di ciò, la deriva semantico-simulativa dell’oggetto, lo scollamento tra dimensione tecnico-pragmatica e dimensione linguistico-semantica, tra funzione e segno, tra sogno e realtà non costituiscono soltanto una de-naturalizzazione, bensì uno spostamento interno al codice nella logica ad incastro degli ordini dei simulacri.
È possibile traslocare i giochi linguistici nei fenomeni psicopatologici. E viceversa. Il reale è diventato in sé un manufatto psicopatologico. L’anagramma, l’ipogramma, il palindromo, l’acrostico, l’inversione, la rima, l’assonanza, la consonanza, il distico, il tristico, il polittico, la strofa, la catastrofe, l’apocatastasi, il pastiche, il patchwork sono non solo categorie dell’estetica e della poetica ma anche categorie della psicopatologia. Non solo i grandi tropi della metafora e della metonimia, ma anche i giochi istantanei, lo scherzo, la battuta insensata, i tropi eterocliti sono categorie in comune tra la psicopatologia e il pensiero che pensa la poiesis. C’è qualcosa di sbalorditivo nella metalepsi (sostituzione dell’effetto con la causa). Il politico è così diventato un campo di azione per l’adozione e la diffusione delle metalessi. C’è predestinazione e procrastinazione perché l’effetto è già nella causa, anzi, è prima della causa. Infatti, non ci sono più cause, ma solo effetti. Non ci sono più affetti ma effetti. Il mondo esiste, in effetti grazie ad una sequenza di effetti. Gli effetti sono senza ragione. Nel frattempo Dio è morto, anzi, no, mi correggo, è l’effetto Dio che è stato diseffettuato. Ed io non mi sento poi tanto bene.
Nella poesia “Inno alla donna” manca l’ultimo verso, che è il seguente: “imperituri nei secoli.”