Un tramonto d’arancio dopo un violento temporale: questa la sensazione che lasciano i versi della silloge di Antonietta Pastorelli “Io ti vengo incontro”, RP Libri editore.
Refrigerio e ombra nella canicola, balsamo per l’anima stanca e ferita, acqua nel deserto.
Sono versi misurati, che non indulgono all’artificio retorico e che sono caratterizzati da una eleganza semplice che trova facilmente la via del cuore per aprirlo a nuovi mondi e per mostrargli i “lampi di un cielo di/Velluto nero tempestato di luci fluttuanti”.
Quella di Antonietta Pastorelli è una lirica che affonda le sue radici nella concretezza del vivere fatto di gioie e dolori, di scorni e di felicità randagia, “viaggiatrice di passaggio” che non si ferma se non si sa riconoscerla. I versi dell’autrice sono un canto che nasce da un “cuore di marzapane”, da una “creatura gualcibile”, ma indomita, che “elemosina sillabe” facendone poesia, potente, soave poesia.
L’amore è il filo conduttore della silloge: l’amore tenero e carnale ad un tempo; l’amore tradito; l’amore per la propria madre e l’amore di madre; l’amore per il mondo che soffre e a cui la poetessa vuole dare un raggio di speranza attraverso il dono della parola poetica.
Versi intimi, che traggono la loro forza e linfa vitale dall’esperienza personale, ma a cui l’autrice, attraverso il sapiente uso di un linguaggio semplice e piano in cui significante e significato si fondono in maniera armonica, riesce a conferire il crisma dell’universalità.
Un canzoniere misurato, le cui poesie nascono non come mero frutto dell’emozione e dell’ispirazione del momento, ma come risultato di un lungo lavoro interiore, di dialogo con i propri sentimenti, di riflessione drammatica sui movimenti dell’io. E così, un folle-come non sentire in questa parola l’eco del “folle volo” di Ulisse?- amore per cui si “recidono le reti di salvataggio” e per cui ci si sta per schiantare a terra, diventa resilienza e amore per la vita: “Ma non posso fermarmi/a lungo:/ qui non respiro”.
Come non commuoversi quando la poetessa ci porta nel suo mondo più intimo e familiare, quello che profuma di sogni e ricordi, quello che racconta la tenerezza di una figlia verso la madre con versi che evocano il sublime dono della maternità nel doloroso strappo della perdita “Ma a me che il ventre rimase vuoto/ora è concesso il dono di esserti/madre e lo strazio di perderti”?
E le assenze sono “presenze comunque e ovunque/nel silenzio o nel chiasso del giorno” e abitano nelle pieghe del cuore e nei “luoghi della memoria/che appartengono /Solo ai poeti” e che la Pastorelli svela e restituisce a chiunque voglia respirare “lì dove si apre l’Infinito”.
“Io ti vengo incontro” è canto in cui ogni cuore può riconoscere la propria musica perché la poetessa, attenta ad ogni vibrazione e sussurro del mondo e dell’uomo, affamata ne ha rubato i suoni e ne ha fatto poesia.