di Giorgia Spurio
“Il giorno e le notti” è una raccolta poetica di Silvia Maria Di Paolo, pubblicata dalla casa editrice Polissena Fiabe E Poesie e uscita in luglio 2024.
La scrittura dell’autrice si presenta pura e tagliente.
Il verso libero si alterna a scene descritte in prosa poetica.
La protagonista è Betta e per mezzo di flashback attraversiamo la sua storia dall’infanzia alla famiglia al primo amore fino al matrimonio e al figlio.
La scrittura è permeata di nostalgia. Tutto torna alla mente come una forte spinta nostalgica sulla quale riflettere, soprattutto per le decisioni prese dopo il primo impulso di felicità.
“Frangente unico e assoluto/ silenzio perfetto e potente/ della vita tutta/ abbandonata al riposo sacro”.
La prima poesia ci apre al mondo del tempo vissuto, alla vecchia casa da cui tutto ha inizio nonostante la sua fine.
Quanti di noi ha un ricordo legato a una precisa casa? La casa di campagna, la casa dei nonni, la casa al mare, la casa delle spensierate vacanze estive, la casa dove dentro vi sono “respiri calmi o segreti”.
L’autrice affronta il tema dell’essere orfani. Ogni lutto di familiari o amici ci rende inevitabilmente così: “ci priva anche dell’eternità dei nostri affetti necessari, e ci rende orfani di chi ci ha lasciato troppo presto”.
Ci rimangono impressi i profumi.
Per esempio dei nonni, di chi ci ha voluto bene, di quell’amore senza secondi fini, autentico e smisurato che odora di “colonia inglese”.
E la piccola Betta aveva sognato una eternità semplice, abbracciata alla nonna nel sonno “canute entrambe”. Perché da bimbi la “felicità è una cosa semplice, come giocare con la propria bambola”.
Nella lirica di Silvia Maria Di Paolo inoltre notiamo la dolcezza della quotidianità, quegli attimi mattutini che vorremmo fermare nel tempo: “È giorno ormai. / Il cuore non vorrebbe ancora svegliarsi/ ma sostare/ sostare ancora un po’/ in questo nulla fermo / in attesa che la festa cominci / e il vortice della vita venga ancora a giocare sopra di noi.”
Tuttavia nella magia di un’infanzia felice e di una quotidianità che regala momenti di delicatezza, la vita presenta ostacoli e imprevisti.
Senza parole superflue o perifrasi l’autrice affronta la crisi di coppia, la fine di un grande amore.
Vivere un grande amore significa vivere una grande paura, quella che tutto possa terminare nella noia della monotonia con la quale i due innamorati si ritrovano ad essere come due estranei a vivere la propria solitudine.
L’amore di coppia è anche e soprattutto “sicurezza” di un benessere psicofisico che va donato da e per entrambi. Se manca si diventa “stranieri” anche dopo una vita vissuta assieme. Non conosciamo mai abbastanza le altre persone, neanche purtroppo chi ci è più vicino.
La speranza, cioè ciò che è sacro e che sana le ferite, è rappresentata dal culmine del dono d’amore: i figli.
I versi si offrono protettivi, materni, grati verso quello che è un piccolo miracolo, il figlio Giovanni.
“E sei arrivato così,/ come un bianco nuovo/ restituzione sacra della vita stessa./ Serio, sul mio grembo, / mi hai guardato dritto negli occhi/ mentre stremata sentivo ancora dolore…/ E ti ho visto allora/ caparbio e determinato/ dentro la bellezza della vita/grato alla fatica e all’incertezza/Fiero.”
La vita è fatta di notti terribili in cui il buio ci sovrasta e ci costringe ad affrontare la realtà, quella che non accettiamo, quella che mascheriamo, quella che giustifichiamo.
“Perché l’amore ci confonde mentre ci travolge, /e dopo ci umilia, ci maltratta, ci rende stupidi/ e poi impotenti, rabbiosi, disillusi./E infine aridi.”
L’autrice affronta la violenza psicologica domestica quando una donna si sente sempre sbagliata, non si sente di raggiungere gli standard richiesti ed impara a dare sempre ragione per evitare discussioni. E infine si sente sempre più vulnerabile.
Se non ha abbracciato la morte è per il coraggio donato dal figlio che le ha impedito di “morire ogni giorno”.
Il libro regala veramente versi meravigliosi che sanno ammaliare, avvolgere e riflettere.
Il più grande amore è quello che dobbiamo avere per noi stessi, amarci, comprenderci e rispettarci, perché come scriveva Shakespeare “Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita”.