Di Poesia e Non Poesia

Scrive Alessandro Moscè sul suo blog: “Si discute spesso sul modo con cui diffondere la poesia contemporanea (di qualità) del secondo Novecento e del Duemila. Ne parlano poeti, critici, appassionati, docenti. I social non aiutano perché manca ogni tipo di critica, di selezione e discernimento. La promozione orizzontale è spesso autocelebrativa e non si riesce a capire granché sulla portata di un valore di senso. Senza una mappa orientativa di tipo storico e/o geografico il rischio è che il principio “uno vale uno” inquini anche la letteratura. Chiunque, oggi, può aprire un sito, un blog, ideare una rivista e strutturare un canone individuale a proprio piacimento. Se le nuove generazioni hanno diritto ad essere conosciute, attenzione però al metodo e alla forma. Leggo sul “Corriere della Sera” di Giuliano Logos, che non conosco. È un artista performativo, poeta e rapper, che ha vinto il titolo mondiale di Poetry Slam. Declama le rime attraverso il linguaggio verbale e la gestualità. Parla specie di degradazione della plastica. Sono abituato a giudicare un poeta sulla testualità e non sulla sua capacità di esibirsi, pertanto non riuscirei neppure ad immaginare un poeta dal vivo, sul palcoscenico di un palazzetto dello sport, affiancato a Milo De Angelis o a Valerio Magrelli, che anticipano la lettura dei testi con ampie premesse, con ragionamenti emotivi e sentimenti della ragione. Ma il cosiddetto format, è una tendenza che va contemplata nella nostra contemporaneità come ciò che è contenuto in un libro pubblicato nella collana Lo Specchio Mondadori? Giro le pagine del “Corriere della Sera” e mi imbatto in un’altra stranezza: la traduzione rock della Divina Commedia ad opera di Pierò Pelù, un cantante di successo della mia generazione. Da più di vent’anni questo virare dritto per dritto verso lo spettacolo fa della poesia un genere ibrido e contaminato da molti linguaggi paralleli. Ai collettivi che inneggiano agli “incendi spontanei”, come riferito nell’articolo, preferisco chi legge ancora, meticolosamente, Umberto Saba ed Eugenio Montale, chi scrive seguendo una tradizione che fa della carta e della parola scritta l’elemento distintivo, rispetto alle tante gare di poetica popolare anche dentro una birreria o in uno scantinato. La parola perde significato quando viene esposta come sfoggio. Non basta ascoltare, bisogna leggere e rileggere. L’occasionalità toglie ai versi quella dimensione esistenziale di lungo corso e sedimentazione, perché l’oralità è solo uno dei aspetti che ruotano intorno alla scrittura (e non il più importante). Il rapper Giuliano Logos, addirittura, si propone si insegnare ad un’intelligenza artificiale (quale?). Dice che ama l’hip hop e non è interessato ad una pubblicazione, ma alla disciplina da scontro: la ferrea competizione, pertanto, è il sovvertimento di ogni regola. Sono lontani i tempi in cui il francese Joë Bousquet affermava che “la poesia è la salvezza delle cose perdute nel mondo”. Nobilitiamo il Poetry Slam senza intermediazioni e con una recitazione il più possibile dialogata con il pubblico? No, grazie. I versi vivono altrove, in un’anima mondo, tra reale e ideale, tra sguardo e memoria, non in questo eterno, turbolento presente.

Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato raccolte poetiche e romanzi, oltre a curare antologie di poeti. Ho trovato l’articolo di Alessandro Moscè sul diario  della pagina Facebook di Alessandra Prospero e l’ho riportato  integralmente perché  Nietzsche in “ Al di là del bene e del male” a pag. , 161 dice : “I poeti sono privi di pudore verso le loro esperienze interiori: le sfruttano.” Perché quindi voglio parlare di poeti e di poesia. In realtà è un viaggio tra le diverse opinioni che il dibattito sulle idee di Alessandro Moscè che sono state espresse proprio su facebook  di seguito alla condivisione dell’articolo .

Penso, ma è una mia idea che ogni autore pensa di essere letto direttamente da Dio ma il Dio al quale ci rivolgiamo è un Dio labile. Perché la parola è labile. La parola della poesia si è fatta labile perché si è fatta rinchiudere in un ostello dove tutti possono visitarla ma nessuno in realtà, in questa società la prende più seriamente. E allora perché rivolgersi agli altri, bisogna rivolgersi direttamente a Dio. Quel nostro Dio personale che ci aiuta ad esprimere sentimenti ed emozioni ma che cade in contraddizione quando lo vogliamo tenere solo per noi; quando diventa labile come le parole che ascolta rinnovando il senso della creazione.

Non tenete però conto di quello che ho appena detto. Perché il tema dell’articolo che ho copiato in apertura che lo stesso Alessandro Moscè ci conferma quando scrive in un altro suo post, è indubbiamente il seguente: “Nella società liquida e incerta di Zygmunt Bauman, siamo corpo e siamo voce: sempre più corpo e sempre meno voce, dominati dall’immagine televisiva, dalle pay tv, dalle piattaforme digitali e dalla rete dei social network. Se il romanzo morirà, accadrà perché non saremo più capaci di raccontare senza vedere in presa diretta, di dire privandoci della fotografia e del filmato, spettatori incandescenti con la realtà, impregnati di rappresentazioni momentanee. Finirà che non avremo più bisogno delle parole che indicano e selezionano. L’occhio che scruta corrisponde al corpo che esercita la sua attività materica. ( 2  )

A questo proposito, bisognerebbe ascoltare questo  frammenti da un’intervista fine anni ottanta ad Edoardo Sanguinetti ( 3 ); da Videor, videorivista di poesia a cura di Orazio Converso, diretta da Elio Pagliarani che  in sostanza dice che la voce e il corpo sono parte della poesia  e che fare il poeta è come un fai da te: si fanno o, almeno, si cercano di fare, le cose che non si trovano già fatte; inoltre che ogni poeta pensa sempre di sapere solo lui dire quelle cose, in quel modo, non fosse così cambi passione, hobby, fai da te.

Fare le cose “da capo” facendosi aiutare dalla parola (scritta oppure orale?) anche se poi la questione diventa proprio quella della labilità proprio della parola. Una labilità che sta tutta dentro la variante de “l’eterno presente che propone dunque un linguaggio unificante proprio con l’uso del web, dei link, di facebook, messenger, twitter, instagram. La voce è un segnale, una ricezione, nient’altro. La dualità anima/corpo è stata risolta con l’avvicendamento di tutto ciò che non è visibile.” E quando la parola fa parte di quel linguaggio unificante ahimè perde il peso, quel peso che assume in un verso. Ecco il rovescio della medaglia. Al verso letto, mimato, recitato cantato si accompagna anche un verso scritto, fermo immobile che solo il lettore saprà leggere, cantare, recitare, mimare danzare.  Il poeta e il suo lettore.

Anche se la parola in un verso, sono convinto, non è finzione è ruspa che scava nel corpo e dentro l’anima perché affonda la sua benna nella memoria propria del corpo e dell’anima che, guarda caso però, non viene esposto come nella finzione   dello sceneggiato, del programma televisivo. E nemmeno esibito. Viene ricondotto alla esperienza del lettore attraverso quella introspezione che la lettura, la rilettura e la ricerca di senso promuovono nella mente e nel cuore di chi accetta che quella parola, in quel verso diventi qualcosa di suo. Con amore, con passione, con gelosia. Il poeta non butta all’aria la parola ma la semina dentro quei paesaggi dell’anima tanto cari ai poeti di tutti i tempi che il lettore visita e nei quali si intrattiene a secondo degli stati d’animo che gli procurano.

Una delle utenti facebook ci dà l’opportunità nel riprendere il filo del discorso  che ci eravamo  prefissati leggendo  l’articolo e il dibattito  che  abbiamo riferito nei commenti sul profilo facebook di Alessandra Prospero  di parlare di una particolare forma di poesia che è la “poesia a braccio”,  in quanto  tra le forme di oralità, in cui si esprime la poesia  che spesso nella poesia è decisiva  è decisiva per la sua stessa esistenza : “La Poesia a Braccio è una nozione dai molti nomi: poesia improvvisata, canto a braccio, canto in “bernesco”, ottava improvvisata. (4) “A braccio” secondo alcuni nasceva dal fatto che i poeti solevano muovere le braccia durante l’esibizione. Secondo altri era un’unità di misura per le stoffe. L’idea di base è una poesia che viene creata inventando i contenuti nel momento stesso in cui si canta. Lo schema metrico è quello classico, l’endecasillabo già usato da Ariosto, Dante.”

La poesia a braccio è una poesia dunque popolare che parte dalla conoscenza dei grandi poeti per passare  poi  a quel canto quotidiano, contestuale alle persone raccolte ad ascoltare.

“La sera, a conclusione della faticosa giornata di lavoro, i pastori si riunivano nelle aie, nei cortili o nelle osterie per trascorrere momenti di riposo e serenità.
Gustando buon vino e formaggio, si dilettavano fino a notte fonda nel cantare poesie in ottava rima prendendo a riferimento le solitarie letture diurne, spesso accompagnati dal suono della ciaramella o dell’organetto. Dai temi cavallereschi di altri poeti si passava all’improvvisazione, traendo ispirazione dalla propria vita, dalla gente del posto e dal proprio paese; natura, amicizia, famiglia, amore, società, politica, guerra erano alcuni degli argomenti più trattati. Seguiti con entusiasmo e passione dai presenti, i poeti davano vita a vere e proprie gare tra di loro, chiamate “tenzoni”, utilizzando la stessa metrica dei grandi poeti classici, cioè l’ottava rima in versi endecasillabi. Un valore aggiunto fu dato dall’obbligo di ripresa; in pratica due poeti seguivano lo stesso tema e si rispondevano a vicenda con l’obbligo di concatenare il primo verso all’ultimo del poeta precedente. La sfida poetica era ancor più divertente e pungente quando i due poeti rimeggiavano “a contrasto”, ossia rappresentando figure contrapposte come suocera-nuora, pastore-maestro, prete-contadino ecc. .”  ( 5)

Ricordiamo per i poeti a braccio, uno per tutti, Berardino Perilli. “Nell’area di Mascioni, Campotosto e Poggio Cancelli, al confine fra la provincia aquilana, teramana e reatina, è ancora presente in forme residuali l’uso dell’ottava rima, delle quartine e delle terzine improvvisate, l’arte poetica che ha contrassegnato la vita dei pastori transumanti. Autodidatti, dediti alla lettura e all’apprendimento mnemonico dei poemi epici e cavallereschi, dall’Iliade all’Odissea, dall’Eneide all’Orlando furioso, dall’Orlando innamorato alla Gerusalemme liberata, al ciclo dei paladini di Francia, particolarmente attratti dalla Divina Commedia, dalla Bibbia, dal cosiddetto “libro di Maccarone” (Angelo Felice Maccheroni, autore de La Pastoral Siringa), i pastori dell’Italia centrale hanno da sempre coltivato l’arte dell’improvvisazione poetica. Omero, Ariosto e Boiardo, Tasso, Dante e Tassoni, e molti altri poeti minori raccolti in antologie trasmesse e prestate da persona a persona, sono stati per secoli il loro quotidiano passatempo nelle lunghe giornate in compagnia degli animali, sugli altopiani.

“Su sta collina verde ed ubertosa, mio Campotosto ti trovo ubicato / e da una prominenza montagnosa, tutto d’intorno resti circondato / dal lago artificiale opra grandiosa, ai tuoi piedi ti vedo bagnato / poco discosto per farti più adorno, s’alza il Gran Sasso col suo Monte Corno”. È l’ottava rima che il poeta improvvisatore Berardino Perilli ha dedicato al suo paese, Campotosto, adagiato nell’Alta Valle dell’Aterno sulle sponde dell’omonimo lago. Berardino è un pastore, sta con le pecore e le osserva, ascolta i suoni del gregge e della montagna circostante. Ha il culto della poesia estemporanea, pensa il mondo in versi e parla in rima, mentre dal lago il vento freddo annuncia il ritorno dell’inverno.  (     ) Berardino Perilli di Campotosto, discendente di questa antica tradizione, è uno degli ultimi e più rappresentativi esponenti della poesia a braccio, esercitata durante la sua attività di pastore fin dalla giovinezza, in compagnia di amici allevatori con cui ha condiviso il medesimo destino e un’analoga passione. Trascorre le sue giornate con le pecore, leggendo e immaginando rime, usate poi nei tanti incontri conviviali e nelle gare con i poeti dell’Alta Sabina e della Maremma. La sua attività di improvvisatore in versi, ormai riconosciuta in tutta Italia, si lega a una intensa curiosità culturale, un desiderio di conoscenza soddisfatto dall’apprendimento diretto portato a compimento ascoltando gli anziani pastori e da una pratica di lettura accanita e insaziabile, che lo accompagna da quando era ragazzo. Nel periodo estivo, durante la permanenza stagionale in Abruzzo, è il punto di riferimento imprescindibile di tanti appassionati, studiosi, amici, e poeti a braccio come lui. (6)

Dunque un Poetry Slam antesignano. E proprio in tema di esposizione della parola  non possiamo dunque, considerando i temi esposti da Alessandro Moscè  e l’eco del dibattito che pure abbiamo in parte riferito  non poassiamo non richiamare l’attenzione  sui Poetry Slam  che come forma di  poesia sembra avere la peggio.  Cos’è il Poetry Slam? “  È per definizione la poesia performativa, ovvero che combina sia la scrittura che la performance, nella quale si dà grandissima importanza alla parola che viene riadattata a contesti differenti e viene modernizzata. Tutto questo si fonda sulla base dell’economicità della lingua, un criterio di studio linguistico in vigore spontaneamente dai tempi dei tempi per cui l’uomo, inteso nel genere dell’essere umano, ottimizza i propri mezzi linguistici per renderli più efficaci per la comunicazione con secondi e terzi. La Poetry Slam nasce come il rap dalla strada attraverso agoni in cui i poeti recitano i loro versi e vengono valutati da una giuria. Forse anche per questo lo slam viene considerato come una delle forme artistiche contemporanee più vive e coerenti rispetto alle ideologie per cui sono nate. Non a caso il creatore, Marc Smith, disse “la poesia non è fatta per glorificare il poeta, essa esiste per celebrare la comunità”. ( 7)

Se  è vero che : “L’arte contemporanea nelle sue più varie forme nasce per la comunità, affinché il pubblico possa creare spontaneamente un legame immediato con l’opera a prescindere che sia visiva (bi, tridimensionale) o figurativa e via dicendo.” Allora bisogna dire che : “A caratterizzare l’arte contemporanea è sicuramente l’uso che viene fatto di tecniche e linguaggi interdipendenti che sono sì in grado di creare forme fisiche e sonore di tridimensionalità, in grado, dunque, includere ad ogni effetto lo spettatore che diventa spesso parte creativa e attiva dell’opera stessa.

E mentre ci poniamo in concreto la domanda di come nel caso della poesia  “includere” il lettore  e nel caso della poesia orale per esempio della video poesia “lo spettatore” per farlo diventare  parte creativa e attiva  ci  facciamo un’altra domanda. Molto più importante  in tema di funzione e ruolo della poesia nella società. Dunque  il tema diventa : la poesia è fatta per celebrare il poeta, per vivere nell’effimero di massa o per  scavare nella memoria  di un epoca, di un popolo, di una storia , vivendo a sé come un miracolo ?

“Montale, scrive  Verena Alena Gioia  su https://www.studenti.it/1prova_saggio_poesia.html “, nel discorso per il Nobel, prova a costruire un’ipotesi di risposta sul ruolo della poesia nel presente e nell’avvenire, ponendo però una distinzione fondamentale tra la poesia che si assume il compito di accompagnare il clamore del tempo e che vive nell’effimero della cultura di massa acustica e visiva e quella che sorge quasi per miracolo, vive ignorata, ma contiene in sé la capacità di imbalsamare tutta un’epoca, di restituirne l’essenza attraverso la virtù del linguaggio” (…)La poesia da sempre ha costituito un aiuto per la memoria ed ha offerto agli uomini la possibilità di celebrare l’esistente gli affanni d’amore, i miasmi del tedio, i luoghi natali, il susseguirsi delle stagioni, i ricordi d’infanzia, la perdita di un affetto attraverso moduli ritmici e memorabili.
Oggi però, pare che la lirica non sia più in grado di mostrare al lettore il suo destino come in uno specchio, di guidarlo attraverso gli impervi sentieri di una vita che soccombe al caos.
Perduta completamente la sua funzione di vate, il poeta sembra non trovare alcuno spazio nella società moderna e i grandi temi che un tempo venivano affidati all’eternità dei versi, oggi si consumano nello spazio effimero di un articolo o di un servizio giornalistico e scorrono uno dopo l’altro lasciando dietro di essi solo sbiaditi ricordi.”

Siamo ricorsi alla lezione scolastica proprio perché la traccia che abbiamo esposto del tema che stiamo cercando di  esaminare ci aiuta a porre in concreto le questioni  di fondo : l’ibridazione della poesia  in quanto  contaminata da molti linguaggi paralleli; poesia come  tradizione che fa della carta e della parola scritta l’elemento distintivo; pericolo della’occasionalità che  toglie ai versi quella dimensione esistenziale di lungo corso e sedimentazione, perché l’oralità è solo uno degli aspetti che ruotano intorno alla scrittura (e non il più importante); fino a chiederci  come afferma il francese Joë Bousquet  se  “la poesia è la salvezza delle cose perdute nel mondo”.

E per rispondere ce ne sarebbe ancora da  riflettere ,  discutere, studiare. D’altra parte per esempio , ma non voglio ricominciare da capo penso al festival Bologna in Lettere che si sta svolgendo  inh questo mese di maggio e che mette assieme tutte queste idee e queste forme di poesia  nel nome addirittura di Pasolini . Quel Pasolini che in tema di poesia teorizzava teorizzare negli anni sessanta la necessaria presenza diffusa della poesia fuori dalla versificazione tradizionalmente intesa, e dunque una nozione di poesia translinguistica e transgenerica. Tanto che Pasolinji scriveva ne  La lingua scritta della realtà:”L’avvento delle tecniche audiovisive, come lingue, o quanto meno, come linguaggi espressivi, o d’arte, mette in crisi l’idea che probabilmente ognuno di noi, per abitudine, aveva di una identificazione tra poesia – o messaggio – e lingua. Probabilmente, invece – come le tecniche audiovisive inducono brutalmente a pensare – ogni poesia è translinguistica. È un’azione «deposta» in un sistema di simboli, che ridiviene azione nel destinatario, non essendo quei simboli che dei campanelli di Pavlov…

Ma perdonate, questo significa ricominciare  da capo nella nostra riflessione. Da parte mia ho solo voluto dare un contributo ad una discussione importante, interessante e forse vitale in questo momento. Un contributo in cui vengono allineati i temi e i problemi. Che la risposta sarebbe improba ,un compito gravoso  a cui  dichiaro inadeguatezza anche se dentro un fascino avvincente .ammaliante, spossante ma vitale.

(1)  le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008, finalista al Premio Metauro), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino), la plaquette in e-book Finché l’alba non rischiara le ringhiere (Laboratori Poesia 2017) e La vestaglia del padre (Aragno 2019). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano 2012), L’età bianca (Avagliano 2016, finalista al Premio Onor d’Agobbio), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano). Ha dato alle stampe l’antologia di poeti italiani contemporanei Lirici e visionari (Il lavoro editoriale 2003); i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio 2004), Tra due secoli (Neftasia 2007), Galleria del millennio (Raffaelli 2016) e l’antologia di poeti italiani del secondo Novecento, tradotta negli Stati Uniti, The new italian poetry (Gradiva 2006). Nel 2020 è uscita la biografia Alberto Bevilacqua. Materna parola (Il Rio). Si occupa di critica letteraria su vari giornali. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è www.alessandromosce.com.

( 2 )  https://www.alessandromosce.com/2021/04/14/sul-web-la-labilita-della-parola/

(3  ) https://youtu.be/lnGHEP1Gpqg

(4)  L’ottava rima è la forma più complessa, strutturata in una concatenazione di versi endecasillabici, sei in rima alternata e due di chiusura in rima baciata, secondo lo schema metrico ABABABCC, in cui la finale è ripresa dall’improvvisatore successivo per produrre una nuova sequenza, che alimenta anche la tessitura tematica creando dei veri e propri dialoghi o contrasti in rima.

(5 ) http://www.agriturismodalpoeta.it/la-poesia/il-canto-a-braccio.html

( 6) https://www.gransassolagaich.it/espressioni-orali-e-linguistiche/il-canto-a-braccio/

( 7) http://www.mangiatoridicervello.com/2017/04/30/poetry-slam-uninnovazione-artistica/

 

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