Alda Merini, la vita ti dà senso

La malattia e il dolore è il tema costante delle poesie di Alda Merini.
La malattia, quella rottura di un equilibrio, quello sfasamento di un mondo che ad un tratto precipita nel silenzio o nel troppo rumore, nel frastuono di tutto quello che nella mente rimbomba. Quando ci si chiede di fronte ad una improvvisa infermità : perché proprio a me ? Con tutta una serie di onde concentriche di pensieri che raccolgono come in un mulinello tutti i momenti della vita passata. Un vortice che ci sconvolge e sconvolge il mondo che ci circonda almeno nella nostra percezione. Quella percezione che affida a quel punto al tempo , al tempo che rimane o al tempo che dobbiamo aspettare o a come non ci siamo accorti del tempo che passava, il suggello di ogni cosa . Nel frastuono oppure nel silenzio di una tana come fanno le bestie ferite. Nel silenzio di un creato che sta lì a guardare immutato, almeno nelle apparenze , la nostra sofferenza senza alcuna partecipazione , lontano, assente e che proprio in questo momento così cruciale per noi ci nega un’appartenenza, non dico una identità, ma un modo di comprensione nella pietà delle cose che sicuramente ci sopravvivranno, in caso di una malattia senza rimedio e quindi mortale. Le cose che ci guardano e che noi guardiamo con un altro occhio, con altre considerazioni , con moti di disposizione, ma anche con rimpianto o nostalgia.

E poi il dolore. Quello spaventoso declino della cognizione umana che ci fa soffrire a volte irrazionalmente e che ci relega nel buio del controsenso o del non senso in quanto non siamo stati creati per il dolore ma per la felicità. Anche se non sappiamo vivere e facciamo di tutto in molti momenti della nostra vita per appannare i desideri che soddisfatti forse ci darebbero felicità . Un mondo quello dei desideri intimo all’uomo ma allo stesso tempo sconosciuto ; una forza che a volte non si placa nemmeno con la soddisfazione e che secondo Lacan è “condizione assoluta”. Ma questo è tutto un altro discorso. Basti qui solo tener conto che , per esempio, la psicoanalisi ha indagato a lungo sul desiderio restituendoci una convinzione : il centro della sua indagine è il desiderio umano scoprendo che c’è un desiderio” fatto uomo”, ovvero che l’uomo è il suo desiderio e che quindi quando si rivolge ad un psicoterapeuta l’uomo chiede una risposta sul proprio desiderio , sull’enigma del proprio desiderio in quanto si sente continuamente interrogato dal desiderio . Il proprio desiderio è l’enigma fondamentale dell’uomo.

Malattia e dolore sono la fonte dei versi di Alda Merini . In particolare la malattia che è causa di dolore . Ma quella della Merini è una malattia per così dire particolare , una malattia della mente e quindi il dolore è quello dell’internamento in un manicomio . Sono ancora lontani gli anni in cui Basaglia sperimentava l’apertura del manicomio che portò alla chiusura di questi luoghi di sofferenza e alla nascita della legge 180 , ( maggio 1978 )strutture e terapie in alternativa ai manicomi degli istituti che ospitavano pazienti con “ alienazione mentale” e che definiva “ manicomi” . In queste strutture venivano ricoverati obbligatoriamente le persone che presentavano la «manifesta tendenza a commettere violenza contro se stessi o contro altri» . Ricoveri sulla base di una serie di diagnosi a volte inventate , senza alcun fondamento scientifico , con un largo uso specialmente nei confronti delle donne e in particolare nel periodo del ventennio fascista la cui ideologia puniva in vario modo la donna, le donne che rifiutavano di essere sorelle operose, spose modello, madri affettuose .

La legge Basaglia (formalmente legge 13 maggio 1978, n. 180) recepita nella Legge 833 del 23 dicembre 1978, che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale, si occupa di accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori con strutture che dopo l’entrata in vigore della legge i sono trasformate : oggi i manicomi sono stati sostituiti da una serie di interventi che fanno capo ai Dipartimenti di salute mentale delle Asl, che sono dotati di un Centro di salute mentale (Csm), di centri diurni, di comunità terapeutiche e di Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc), cioè i reparti psichiatrici degli ospedali.

Quindi può accadere come accade che per problemi di salute mentale uno possa essere ricoverato in un reparto di psichiatria di uno dei tanti ospedali del territorio. È quello che è accaduto a Paolo Cognetti regista e scrittore di cui ricordiamo il film Le otto montagne tratte dal suo romanzo premiato dallo Strega nel 2017 che è ambientato in Val d’Ayas negli stessi luoghi immaginati dall’autore, a partire dal villaggio di Grana, nome dialettale della piccola e spopolata frazione di Graines, in comune di Brusson.
L’ultimo libro di Paolo Cognetti è Giù nella valle, pubblicato nell’autunno del 2023 . Senza mai arrivare in cima invece è del 2018, un anno appena dopo il Premio Strega , che raccontava del suo viaggio in Nepal verso l’Himalaya. A cui è seguito La felicità del lupo, pubblicato da Einaudi che prosegue il filone narrativo montanaro iniziato con Ragazzo selvatico (2013) e proseguito con Le otto montagne (2016).

Dunque Cognetti ricoverato per problemi di salute mentale. Una vicenda di cui l’Ansa scrive : “In primavera e d’estate, senza un apparente motivo, sono stato morso dalla depressione. Nelle scorse settimane invece, sceso dal mio rifugio sul Monte Rosa, ero in una fase bella e creativa. Un giorno mi sono accorto che il mio pensiero e il mio linguaggio acceleravano. Gli amici mi hanno fatto notare che facevo cose strane. Il 4 dicembre (2024) il medico ha disposto il Tso: trattamento sanitario obbligatorio”…  Così lo scrittore e regista Paolo Cognetti, in un’intervista a Repubblica, racconta di un suo ricovero a causa di una “grave depressione sfociata in una sindrome bipolare con fasi maniacali”. Dimesso ha deciso di parlare della sua esperienza “per dire pubblicamente che le malattie nervose non devono più essere una vergogna da nascondere e che la risalita comincia accettando chi realmente si è”.

È quello che ha dimostrato con la sua vita e la sua arte Alda Merini, anche come donna che non fa eccezione a questa specie di canone. Subì quei trattamenti che annientavano la personalità: fu legata mani e piedi al letto come punizione per la propria insonnia, subì elettroshock senza anestesia per aver risposto male a un’infermiera, visse l’umiliazione di doversi spogliare davanti a tutti per essere lavata con l’acqua fredda .

Alda Merini fu ricoverata in ospedale psichiatrico per ben tre volte: la prima all’età di sedici anni, la seconda dal 1964 al 1972 nell’istituto Paolo Pini di Milano, e la terza a Taranto nel 1986. All’epoca del secondo ricovero era già madre di due bambine e poi tra vari soggiorni ha dato alla luce le altre due figlie. In L’altra verità. Diario di una diversa, Merini racconta questa sua esperienza.

“Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio […] ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un’ambulanza…”

Nel 1995 pubblicò La pazza della porta accanto edito da Bompiani. Ma sono questi gli anni in cui sperimenta una specie di poesia orale , i cui versi vengono poi raccolti in vario modo fino a “Sono nata il ventuno a primavera “

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Una esperienza, quella dell’internamento in manicomio, che non fu solo di Alda Merini ma di migliaia di persone e anche di poeti e letterati e abbiamo già accennato a Paolo Cognetti che seppero proprio con la loro arte trasformare la follia in qualcosa di prodigioso e geniale , con particolari esempi nelle arti figurative . Penso per quanto riguarda le arti figurative a Vincent Van Gogh, Edvard Munch, Fracisco Goya e molti altri ,

Ma penso anche a Dino Campana autore dei Canti Orfici che venne spesso internato in manicomio. Ricoveri intervallati da fughe da casa in paesi stranieri . Per ogni soggiorno egli scrive qualcosa che poi sarà raccolto in quei Canti orfici la cui prima copia , data in lettura fu smarrita e poi riscritta dall’autore a memoria.

O poesia poesia poesia

O poesia poesia poesia
Sorgi, sorgi, sorgi
Su dalla febbre elettrica del selciato notturno.
Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche
Guizza nello scatto e nell’urlo improvviso
Sopra l’anonima fucileria monotona
Delle voci instancabili come i flutti
Stride la troia perversa al quadrivio
Poiché l’elegantone le rubò il cagnolino
Saltella una cocotte cavalletta
Da un marciapiede a un altro tutta verde
E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram
Silenzio – un gesto fulmineo
Ha generato una pioggia di stelle
Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso
In un mantello di sangue vellutato occhieggiante
Silenzio ancora. Commenta secco
E sordo un revolver che annuncia
E chiude un altro destino
(Notturni )

Ma è Mario Tobino medico e letterato il testimone privilegiato che nei suoi libri, per la maggior parte ambientati nel manicomio dove lo scrittore ha esercitato la professione, raccontano l’esperienza della follia. Una vita dedicata a recuperare l’umanità dei suoi pazienti dando loro una dignità a dispetto di quello che era il manicomio appunto in cui operava. Creature che hanno bisogno di amore , cura e attenzione . E attenzione e cura aveva dato loro questo medico che era contrario alla chiusura dei manicomi perchè proprio lui aveva trasformato il manicomio di Magliano in un luogo veramente di cura .
Ora il punto è che Alda Merini ha accettato il male derivato dalla malattia e dal dolore e lo ha trasformato in amore attraverso la poesia. Qui non si tratta del male di cui ci parla nelle riflessioni contenute nei suoi libri per esempio Anna Arendt. Quel male assoluto eppure “banale” così come sintetizzato in una formula dalla stessa Arendt che aveva in qualità di giornalista assistito al processo tenutosi in Israele al criminale nazista Eichmann di cui scrisse : “ egli non era intrinsecamente cattivo, ma semplicemente superficiale e inetto, un “joiner”, nelle parole di un critico contemporaneo, uno che “va dove tira il vento”.

Un male che viene in questo caso dall’enormità del genocidio compiuto su una minoranza pienamente inserita nella cultura tedesca,

È un male piuttosto come lo intendeva per esempio Cesare Pavese, quel male di vivere che permea tutte le giornate della vita ed ogni momento

“Io il male l’ho accettato ed è diventato un vestito incandescente.
È diventato poesia.
È diventato fuoco d’amore per gli altri”.

O ancora il male di vivere del Montale di Ossi di seppia:

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi; fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

A proposito di trasformazione del dolore Alda Merini risponde così alla domanda che le rivolge Sergio Zavoli in una intervista pubblicata in Il dolore inutile, la pena in più del malato, scritto da Zavoli con la collaborazione di Umberto Rondi. Il libro è stato pubblicato da Laterza nel 2002,

Qual è la sua interpretazione di questo pensiero di Soren Kierkegaard: «Io dico del mio dolore quel che l’inglese dice della sua casa: il mio dolore è il mio castello»?
Quando se ne capisce le potenzialità… Bisogna renderlo dinamico, il dolore. Perché se lei nel dolore fa un vuoto, scava un orrore, lei ne muore, ne muore sepolto. Se invece lo rende attivo, cerca di capirlo, di entrarvi senza paura di conoscerlo, penso che lei abbia raggiunto una certa felicità. Il dolore è anche il demonio. Questo corpo a corpo con il demonio, una malattia mentale, questa voglia di superarlo, di sopravanzarlo può esser già un buon incentivo, una buona partenza.

E più avanti ancora :

È stato detto che solo chi passa per il gelo del dolore arriva all’incendio vero dell’amore. Lei crede che la sofferenza vissuta abbia alimentato in modo decisivo – «incendiandola», appunto – la sua capacità di amare? E, aggiungo, la conoscenza del mondo?
Le dirò una cosa: io sono cattolica e penso che Gesù Cristo abbia pagato di persona per risparmiarci almeno la parte mortale del dolore, la parte che uccide. Queste tracce di ustioni le abbiamo addosso, le sentiamo tutti! L’approssimarsi della morte, della vecchiaia, il calvario della vita! C’è però chi le nasconde come una vergogna, e non come se portassero, invece, a una grande conquista, a un rasserenamento o a una visione della vita di Dio e anche di noi stessi.

Ecco perché a Paolo Bonolis nella trasmissione Il senso della vita Alda Merini dice che è la vita che ti dà senso
Alda Merini: “Tu hai parlato del senso della vita”
Paolo Bonolis: “Ci provo”
Alda Merini: “Eh, prova…”
Paolo Bonolis: “Eh, certo”
Alda Merini : “La vita non ha senso. Anzi è la vita che ti dà un senso. Sempre che noi la lasciamo parlare. Perché prima dei poeti parla la vita. Il poeta soffre molto di più, ma ha una dignità che non si difende neanche. È bello accettare anche il male. Una delle prerogative del poeta, che è stata un po’ anche la mia, è non discutere mai da che parte venisse il male, lo ho accettato ed è diventato un vestito incandescente, è diventato poesia. Ecco, il cambiamento della materia che diventa fuoco, fuoco d’amore per gli altri, anche per chi ti ha insultato.”
Alda Merini parla di quel male che ti immerge nella notte del dolore, cupa e tribolata; una condizione che non ha spesso nessuna “speranza” di cambiamento se non la morte.

Eppure la Merini riesce a cambiare qual segno da negativo a positivo.
Il dolore è nell’aria, lo respiro ogni volta che il pensiero cade su di te, avrei voluto che le tue braccia diventassero sponde forti dove appoggiarmi quando il mio cammino si fosse fatto lento.
Avrei voluto fidarmi del tuo domani lasciandomi cullare dai ricordi…
Eri il fiore voluto, cercato ora così lontano ..
sfiorito da false illusioni e danze di fantasmi,
maschere bugiarde pronte a ingannare il tuo tempo e la tua mente.
E io resto qui…con una lama nel cuore
a guardare il tuo salto nel buio
Le mie mani non riescono a raggiungerti
Troppe luci che ti abbagliano ..
troppo il frastuono che hai intorno…
non puoi sentire le mie lacrime…
perché le lacrime non fanno rumore…

Quel dolore che spesso è la condizione dell’uomo come è la testimonianza di Giobbe nell’Antico Testamento che in definitiva si fa le stesse domande. La condizione di Giobbe , sopraffatto dalla sofferenza e dallo scoraggiamento, lo porta a domandarsi se abbia senso continuare a vivere. È lacerato dentro tanto che si permette di dire : «Perisca il giorno in cui nacqui» (Gb 3,3) e di chiedersi con evidente amarezza: «Perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo?» (3,11). Così come per Giobbe la cui storia è raccontata da un libro dell’Antico Testamento in cui troviamo l’esperienza di un uomo che ci attesta come la sofferenza non sia inevitabilmente condannata a trasformarsi in un ponte minato che, crollando, rende impossibile il viaggio verso Dio, anche per Alda Merini , la sofferenza è un cammino verso l’amore per gli altri attraverso la poesia .
Per Alda Merini la riflessione è la stessa ma il segno è quello della follia. Il mistero di qualcosa che ti prende e ti ruba l’anima. Ecco Alda Merini va alla ricerca della sua anima come migliaia di persone cosiddette “ matti”. Un tema che introduce il problema della malattia mentale nella nostra società. Una specie di Terra santa che dà il titolo ad una raccolta di quaranta poesie scritta pubblicata nel 1984,. ristampata da Scheiwiller nel 1996, insieme alle raccolte Destinati a morire del 1990, Le satire della Ripa del 1983, Le rime petrose datate sempre 1983 e Fogli bianchi del 1987, nel nuovo volume dal titolo La Terra Santa. Con questa raccolta Merini ha vinto il Premio Librex-Guggenheim «Eugenio Montale» nel 1993 per la poesia.

Corpo, ludibrio grigio
Corpo, ludibrio grigio
con le tue scarlatte voglie,
fino a quando mi imprigionerai?
anima circonflessa,
circonfusa e incapace,
anima circoncisa,
che fai distesa nel corpo?
(da “La Terra Santa” 1984)

Ieri ho sofferto il dolore
Ieri ho sofferto il dolore,
non sapevo che avesse una faccia sanguigna,
le labbra di metallo dure,
una mancanza netta d’orizzonti.
Il dolore è senza domani,
è un muso di cavallo che blocca
i garretti possenti,
ma ieri sono caduta in basso,
le mie labbra si sono chiuse
e lo spavento è entrato nel mio petto
con un sibilo fondo
e le fontane hanno cessato di fiorire,
la loro tenera acqua
era soltanto un mare di dolore
in cui naufragavo dormendo,
ma anche allora avevo paura
degli angeli eterni.
Ma se sono così dolci e costanti,
perché l’immobilità mi fa terrore?
(da “La terra santa”)

Dunque il manicomio come in “Fiore di poesia “ pubblicato da Einaudi nel 20214:

Manicomio è parola assai più grande
delle oscure voragini del sogno,
eppur veniva qualche volta al tempo
filamento di azzurro o una canzone
lontana di usignolo o si schiudeva
la tua bocca mordendo nell’azzurro
la menzogna feroce della vita.
O una mano impietosa di malato
saliva piano sulla tua finestra
sillabando il tuo nome e finalmente
sciolto il numero immondo ritrovavi
tutta la serietà della tua vita.
Il dottore agguerrito nella notte
viene con passi felpati alla tua sorte,
e sogghignando guarda i volti tristi
degli ammalati, quindi ti ammannisce
una pesante dose sedativa
per colmare il tuo sonno e dentro il braccio
attacca una flebo che sommuove
il tuo sangue irruente di poeta.
Poi se ne va sicuro, devastato
dalla sua incredibile follia
il dottore di guardia, e tu le sbarre
guardi nel sonno come allucinato
e ti canti le nenie del martirio.
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti a un altare vuoto,
accerchiati da argenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu sì, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.

“Le più belle poesie /si scrivono sopra le pietre/coi ginocchi piagati/e le menti aguzzate dal mistero.” Ecco proprio così. E Alda Merini che ha scritto questi versi li ha scritti così con le ginocchia sopra le pietre per un castigo della sorte che l’aveva voluta diversa, una diversità che i suoi simili non hanno voluto o saputo accettare e che lei ha trasformato in quello che di più straordinario poteva diventare: la meraviglia di una poesia fatta carne, sangue, ossa dentro un corpo capace di usare proprio quella carne , quel sangue e quelle ossa per aprire il mondo alla speranza che non ci sia più sofferenza e dolore a causa della diversità .

Alda Merini (Milano, 1931-2009) ha pubblicato, nella Collezione di Poesia Einaudi, Vuoto d’amore, a cura di Maria Corti (1991), Ballate non pagate (1995, premio Viareggio), Superba è la notte (2000), Clinica dell’abbandono (2004), Il carnevale della croce (2009) e Poesie e satire (2011). Sempre a cura di Maria Corti è uscita inoltre, negli ET Poesia, un’ampia antologia della produzione poetica 1951 – 1997, Fiore di poesia, completata da una scelta di aforismi. Nel 2019, a cura di Riccardo Redivo e Ornella Spagnulo, è uscito Confuzione di stelle. Nel 2003 è uscito Più bella della poesia è stata la mia vita (Einaudi Stile libero con VHS).

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