‘Variazione madre’ di Federico Preziosi, il corpo emotivo femminile della poesia
L’opera poetica di Federico Preziosi penetra con empatia la condizione femminile senza cadere nelle trappole che un tale tentativo d’immedesimazione comporta. Lo fa attraverso un tessuto linguistico che cade con naturalezza sul corpo emotivo della poesia, che è femmina, ponendosi non come portavoce di una categoria sociale, ma come voce di un singolo che diviene universale in virtù dell’universalità che contraddistingue l’umano sentire. Le madri alle quali Preziosi dedica la sua raccolta costituiscono un’unità che si pluralizza nella-e-grazie-alla variazione, un movimento musicale che permea tutto il libro e concatena ogni lirica. Per il poeta ogni donna è madre in quanto centro vivo delle più alte forme di amore e dolore. Questa non è un’idealizzazione di comodo né una scoperta acquisita sul campo, ma la messa in luce di una condizione esistenziale che risulterebbe svilita se edulcorata. La parola e le immagini, nei versi di Preziosi, sono ora delicate, ora brutalmente oneste, com’è giusto che debbano essere.
Riduzione senza azzeramento
In tale contesto, il sopraccennato rischio era quello d’incappare in velleità machiste o nel cosiddetto “fridging”, termine inglese usato per indicare opere dove l’autore utilizza traumi di personaggi femminili come mero espediente narrativo per una storia che ha per protagonista un uomo. Repetita iuvant, non è assolutamente il caso di questa raccolta di poesie, dove Federico Preziosi riduce senza azzerare – perché altrimenti verrebbe meno il concetto stesso d’immedesimazione – la distanza che intercorre tra possibilità e impossibilità, ponendo la parola come luogo d’incontro tra le parti.
“Mi tappavi la bocca e restava di dentro”
Mi tappavi la bocca e restava di dentro
la voce che ancora trattengo le gemme
sonore nei palmi di carne dei suoli
i colpi anteriori
i colpi alle reni che non hai placato
il sangue alla testa e d’orgasmo il conato.
E vibrava di tutto il pianto e il dolore
vibrava la sfinge che il lato dimora
vibrava
come a un passo trema il salto
e lo slancio rapprende i solchi e il coraggio
ed io di pancia la contrazione
un mantice il corpo il frastuono
un’aria che saliva alla gola
ed io morivo
morivo di gioia
L’uso della prima persona, più di ogni altro elemento stilistico, si fa ponte tra la percezione maschile dell’autore e l’essere donna tout court. L’autore decostruisce se stesso al fine di radicare i sopramenzionati poli emozionali in un punto di raccordo. Amore e violenza, in un incessante scontro di specchi, si sovrappongono senza tregua fuori ed entro gli organi del corpo lirico, su immagini e sonorità che restituiscono bene il dualismo tra tesi e antitesi; controparti, quest’ultime, che mai potranno ridursi a sintesi, poiché il grido poetico può emergere solo nell’incolmabilità che le separa.
La parola è madre
La parola trafigge e la parola guarisce, poiché la parola è donna e la parola è madre. Questa è l’impercettibile danza della variazione. Soluzioni che attingono dal lessico della musica per operare, sia sul piano formale che su quello tematico, una contaminazione tra poesia e canzone. Le liriche più struggenti, infatti, trasmettono l’ebbrezza di una ballata triste. Non è pertanto azzardato affermare che Preziosi unisca categorie tipiche della poesia confessionale ai ritmi e allo spirito malinconico proprio dei brani del genere blues. E il risultato è una raccolta poetica che nello sperimentalismo di un linguaggio nudo e vivo porta alla luce la necessità di un tema importante quale quello dell’alterità.
“Ho del mare da piantarti in gola”
Ho del mare da piantarti in gola.
Questo mare che mi balla, che mi beve,
che sconquassa. Questo mare che mi esplode
dalle viscere dal ventre. Questo mare
che si stende di bonacce e di tormente,
che dal baratro si allunga sopra il becco di delfini
con le buste della plastica a bandire le rovine.
Questo mare che le trame ci accoltella come lame
conficcando le budella tra quei denti sangue e perla:
entro selachimorphema della perdita gitante
anatemi ho visto nascere e non c’era nessun altro,
alfabeti e religioni divulgati dalle onde,
vite al largo pei naufragi e le doglie trapassate.
Quanto sentimento scava la mia furia che ti stringe
a quale cielo declamare la finzione e l’astrazione,
quando vedo apertamente che ho perduto la razione
delle ossa mai piantate e del sangue mai sgorgato,
della pietas per me stessa e il sorriso che mi chiama,
che mi abbraccia, che mi dice con la sua vocina «mamma!».
Questo mare come lava sarà faro del tramonto.
Sarà freddo con le spoglie perché, fino a quando muove,
questo mare volge il canto a tutti i fiori, a tutti i mali
che ha piantato le radici da nutrire con il sale.
Poesie tratta da “Variazione madre” di Federico Preziosi, Controluna, collana Lepisma Floema