CANDOR LUCIS AETERNAE
DEL SANTO PADRE FRANCESCO NEL VII CENTENARIO DELLA MORTE
DI DANTE ALIGHIERI pubblicata il 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno 2021.
di Valter Marcone
Scrive Papa Francesco : “Non può dunque mancare, in questa circostanza, la voce della Chiesa che si associa all’unanime commemorazione dell’uomo e del poeta Dante Alighieri. Molto meglio di tanti altri, egli ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore. Il suo poema, altissima espressione del genio umano, è frutto di un’ispirazione nuova e profonda, di cui il Poeta è consapevole quando ne parla come del «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» (Par. XXV, 1-2).
Con questa Lettera Apostolica desidero unire la mia voce a quelle dei miei Predecessori che hanno onorato e celebrato il Poeta, particolarmente in occasione degli anniversari della nascita o della morte, così da proporlo nuovamente all’attenzione della Chiesa, all’universalità dei fedeli, agli studiosi di letteratura, ai teologi, agli artisti. Ricorderò brevemente questi interventi, focalizzando l’attenzione sui Pontefici dell’ultimo secolo e sui loro documenti di maggior rilievo.”
«Dante può aiutarci ad avanzare». «Cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo?». Il «profeta di speranza e testimone del desiderio umano di felicità» – «in questo particolare momento storico, segnato da molte ombre, da situazioni che degradano l’umanità, da una mancanza di fiducia e di prospettive per il futuro» – «può ancora donarci parole ed esempi che danno slancio al nostro cammino». Questa la convinzione con la quale, nel giorno dell’Annunciazione a Maria, papa Francesco ha fatto uscire la Lettera apostolica Candor Lucis Aeternae, Splendore della luce eterna, una lettera lunga nove paragrafi per onorare la memoria del Sommo Poeta nel Settimo centenario della morte.
La preparazione della Candor Lucis Aeternae era poi stata annunciata dal Papa lo scorso 10 ottobre in occasione dell’apertura del VII centenario dalla morte di Dante, esprimendo in quella stessa occasione anche la volontà di recarsi sulla sua tomba a Ravenna. Del documento ne aveva così già indicato la prospettiva: «Potrebbe sembrare, a volte, che questi sette secoli abbiano scavato una distanza incolmabile tra noi, uomini e donne dell’epoca postmoderna, e Dante… Eppure – aveva affermato – qualcosa ci dice che non è così. Si avverte una sorprendente risonanza. Approfittando di questa risonanza che supera i secoli, anche noi potremo arricchirci dell’esperienza di Dante, per attraversare le tante selve oscure della nostra terra e compiere felicemente il nostro pellegrinaggio nella storia, per giungere alla meta sognata e desiderata da ogni uomo: “L’amor che move il sole e l’altre stelle”».
Candor Lucis Aeterna e si compone dunque di sei parti. Nella prima “ Le parole dei Pontefici Romani dell’ultimo secolo su Dante Alighieri” ri riferisce della Lettera enciclica di Benedetto XV che tiene conto di quanto in precedenza Leone XIII e San Pio X avevano detto su Dante. In particolare Benedetto XV prima della pubblicazione dell’enciclica aveva sotto lineato l’appartenenza di Dante proprio alla Chiesa affermando : “ Infatti, chi potrà negare che il nostro Dante abbia alimentato e rafforzato la fiamma dell’ingegno e la virtù poetica traendo ispirazione dalla fede cattolica, a tal segno che cantò in un poema quasi divino i sublimi misteri della religione?»
Sui sublimi misteri della religione torna anche Papa Francesco che afferma a proposito della visione religiosa della Commedia : “al centro della visione ultima, nell’incontro col Mistero della Santissima Trinità, Dante scorge proprio un Volto umano, quello di Cristo, della Parola eterna fatta carne nel seno di Maria: «Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza […]. Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta de la nostra effige» (XXXIII, 115-117.127-131). Solo nella visio Dei si placa il desiderio dell’uomo e termina tutto il suo faticoso cammino: «La mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. / A l’alta fantasia qui mancò possa» (140-142). “
Ma sempre nella prima delle sei parti Papa Francesco ricorda i contributi che hanno dato i suoi predecessori alla considerazione di questo poeta.
A cominciare da Benedetto XV che abbiamo appena ricordato il quale affermava quasi perentoriamente : “ nell’Enciclica citata, l’appartenenza del Poeta alla Chiesa, «l’intima unione di Dante con questa Cattedra di Pietro»; anzi, affermava che la sua opera, pur essendo espressione della «prodigiosa vastità e acutezza del suo ingegno», traeva «poderoso slancio d’ispirazione» proprio dalla fede cristiana. Per questo, proseguiva Benedetto XV «in lui non va soltanto ammirata l’altezza somma dell’ingegno, ma anche la vastità dell’argomento che la religione divina offerse al suo canto». E ne tesseva l’elogio, rispondendo indirettamente a quanti negavano o criticavano la matrice religiosa della sua opera: «Spira nell’Alighieri la stessa pietà che è in noi; la sua fede ha gli stessi sentimenti. […] Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore».
Benedetto XV Giacomo Della Chiesa, nasce a Genova il 21 novembre 1854, terzo di quattro figli, dal marchese Giuseppe (appartenente ad una famiglia patrizia le cui origini vengono fatte risalire ai tempi di Sant’Ambrogio) e dalla marchesa Giovanna Migliorati. Consacrato Vescovo da Pio X nella Cappella Sistina il 22 dicembre 1907, monsignor Della Chiesa viene destinato a guidare la diocesi di Bologna, Durante il suo pontificato si verificano avvenimenti di guerra .. Il 28 luglio l’Austria- Ungheria ha dichiarato guerra alla Serbia e, per parte propria, la Germania ha dichiarato guerra l’1 agosto alla Russia e il 3 agosto alla Francia. Il 4 agosto le truppe tedesche, per attaccare la Francia, invadono il Belgio neutrale e nello stesso giorno la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania. Quasi tutta l’Europa, praticamente, è impegnata in operazioni belliche. La costante preoccupazione di questo Papa è di richiamare l’attenzione proprio sulla guerra. Fin dalla prima Enciclica — Ad beatissimi Apostolorum del 1° novembre 1914 — quale « Padre di tutti gli uomini » egli denuncia che « ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti ». E scongiura Prìncipi e Governanti a considerare lo straziante spettacolo presentato dall’Europa: « il più tetro, forse, e il più luttuoso nella storia dei tempi .Impotente di fronte al conflitto che continua. Ma egli non desiste, e mentre si adopera a favore delle persone e delle regioni più colpite, inviando e stimolando soccorsi ai bimbi affamati, ai feriti e ai prigionieri, il 24 dicembre 1916, parlando al Sacro Collegio Cardinalizio, invoca ancora una volta « quella pace giusta e durevole che deve mettere fine agli orrori della presente guerra »
Dopo la fine della guerra di fronte alle ostilità che continuano si chiede come mai tante ostilità possano sopravvivere quando l’insegnamento di Cristo — e l’Enciclica Pacem, Dei munus del 23 maggio 1920 lo dice esplicitamente — afferma con chiarezza, da sempre, che tutti gli uomini della terra debbono considerarsi fratelli. Anticipando in qualche modo quello che sarà il Concordato Lateranense che verrà firmato l’11 febbraio 1929, il Pontefice, parlando nel marzo 1919 alle Giunte Diocesane d’Italia, annulla di fatto il « non expedit » che, a seguito del decreto 10 settembre 1874 della Sacra Penitenzieria, vietava ai cattolici di partecipare alle elezioni e alla vita politica in genere. Colpito da broncopolmonite, cessa di vivere il 22 gennaio 1922.
Prosegue poi Papa Francesco : “ Al VII Centenario della nascita, nel 1965, si collegano, invece, i diversi interventi di San Paolo VI come il dono di una croce dorata per arricchire il tempietto ravennate che custodisce il sepolcro di Dante, fino ad allora privo «d’un tale segno di religione e di speranza». Un’aurea corona d’alloro da incorniciare nel battistero di Firenze e al termine del Concilio Ecumenico volle donare ai Padri Conciliari un’artistica edizione della Divina Commedia. Ma soprattutto onorò la memoria del Sommo Poeta con la Lettera Apostolica Altissimi Cantus .
In questa lettera apostolica Paolo VI afferma : “ Nel maestoso coro dei poeti cristiani, dove si distinguono Prudenzio, S. Efrem Siro, S. Gregorio Nazianzeno, S. Ambrogio Vescovo di Milano, S. Paolino da Nola, Venanzio Fortunato, S. Andrea di Creta, Romano il Melode, Adamo di S. Vittore, S. Giovanni della Croce e altri — passarli in rassegna tutti sarebbe molto lungo — l’aurea cetra, l’armoniosa lira di Dante risuona di mirabili tocchi, sovrana per la grandezza dei temi trattati, per la purezza dell’ispirazione, per il vigore congiunto a squisita eleganza. “
Ma soprattutto guardando all’opera di Dante afferma Paolo VI : “Il Poema di Dante è universale: nella sua immensa larghezza, abbraccia cielo e terra, eternità e tempo, i misteri di Dio e le vicende degli uomini, la dottrina sacra e le discipline profane, la scienza attinta dalla Rivelazione divina e quella attinta dal lume della ragione, i dati dell’esperienza personale e le memorie della storia, l’età sua e le antichità greco-romane, mentre ben si può dire che del Medioevo è il monumento più rappresentativo. Nel suo contenuto tesoreggia la sapienza orientale, il logos greco, la civiltà romana, e in sintesi il dogma e i precetti della legge del Cristianesimo nella elaborazione dei suoi dottori. Aristotelico nella concezione filosofica, platonico nella tendenza all’ideale, agostiniano nella concezione della storia; nella teologia è fedele seguace di San Tommaso di Aquino, tanto che la Divina Commedia è, fra l’altro, in frammenti, quasi lo specchio poetico della Somma del Dottore Angelico. Che se ciò è ben vero nelle linee generali, è altrettanto vero però che Dante è aperto a profondi influssi di Sant’Agostino, di San Benedetto, de’ Vittorini, di San Bonaventura, e non è scevro di qualche influsso apocalittico dell’Abate Gioacchino da Fiore, poiché suole protendersi a cose che albeggiano o che, non ancora nate, sono in grembo del futuro.”
Papa Francesco ricorda ancora che di Dante ha parlato anche Giovanni Paolo II : “ , che più volte nei suoi discorsi ha ripreso le opere del Sommo Poeta, desidero rievocare solo l’intervento del 30 maggio 1985 all’inaugurazione della mostra Dante in Vaticano. Anch’egli, come Paolo VI , sottolineava la genialità artistica: l’opera di Dante è interpretata come «una realtà visualizzata, che parla della vita dell’oltretomba e del mistero di Dio con la forza del pensiero teologico, trasfigurato dallo splendore dell’arte e della poesia, insieme congiunte». Il Pontefice si soffermava, poi, a esaminare un termine chiave dell’opera dantesca: «Trasumanare. Fu questo lo sforzo supremo di Dante: fare in modo che il peso dell’umano non distruggesse il divino che è in noi, né la grandezza del divino annullasse il valore dell’umano. Per questo il Poeta lesse giustamente la propria vicenda personale e quella dell’intera umanità in chiave teologica».
Benedetto XVI ha spesso riproposto l’itinerario dantesco, attingendo dalle sue opere spunti di riflessione e di meditazione. Ad esempio, parlando della sua prima Enciclica Deus caritas est , partiva proprio dalla visione dantesca di Dio, in cui «luce e amore sono una cosa sola» per riproporre una sua riflessione sulla novità dell’opera di Dante: «Lo sguardo di Dante scorge una cosa totalmente nuova […]. La Luce eterna si presenta in tre cerchi ai quali egli si rivolge con quei densi versi che conosciamo: “O luce etterna che sola in te sidi, / sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!” (Par. XXXIII, 124-126). In realtà, ancora più sconvolgente di questa rivelazione di Dio come cerchio trinitario di conoscenza e di amore è la percezione di un volto umano – il volto di Gesù Cristo – che a Dante appare nel cerchio centrale della Luce. […] Questo Dio ha un volto umano e – possiamo aggiungere – un cuore umano». Il Papa evidenziava l’originalità della visione dantesca nella quale si comunica poeticamente la novità dell’esperienza cristiana, scaturita dal mistero dell’Incarnazione: «La novità di un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l’intero essere umano
Papa Francesco da parte sua afferma : “ Da parte mia, nella prima Enciclica, Lumen Fidei ho fatto riferimento a Dante per esprimere la luce della fede, citando un verso del Paradiso in cui essa è descritta come «favilla, / che si dilata in fiamma poi vivace, / e come stella in cielo in me scintilla» (Par. XXIV, 145-147). Per i 750 anni dalla nascita del Poeta, ho voluto onorare la sua memoria con un messaggio , auspicando che «la figura dell’Alighieri e la sua opera siano nuovamente comprese e valorizzate»; e proponevo di leggere la Commedia come «un grande itinerario, anzi come un vero pellegrinaggio, sia personale e interiore, sia comunitario, ecclesiale, sociale e storico»; infatti, «essa rappresenta il paradigma di ogni autentico viaggio in cui l’umanità è chiamata a lasciare quella che Dante definisce “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XXII, 151) per giungere a una nuova condizione, segnata dall’armonia, dalla pace, dalla felicità». Ho, quindi, additato la figura del Sommo Poeta ai nostri contemporanei, proponendolo come «profeta di speranza, annunciatore della possibilità del riscatto, della liberazione, del cambiamento profondo di ogni uomo e donna, di tutta l’umanità».
Nella seconda delle sei parti Papa Francesco si sofferma su “La vita di Dante Alighieri, paradigma della condizione umana “ sottolineando “Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana, la quale si presenta come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta. Ci imbattiamo, così, in due temi fondamentali di tutta l’opera dantesca: il punto di partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio. “
Nella terza parte “La missione del Poeta, profeta di speranza “ afferma Papa Francesco “ Dante, dunque, rileggendo soprattutto alla luce della fede la propria vita, scopre anche la vocazione e la missione a lui affidate, per cui, paradossalmente, da uomo apparentemente fallito e deluso, peccatore e sfiduciato, si trasforma in profeta di speranza. Nell’Epistola a Cangrande della Scala chiarisce, con straordinaria limpidezza, la finalità della sua opera, che si attua e si esplica non più attraverso azioni politiche o militari ma grazie alla poesia, all’arte della parola che, rivolta a tutti, tutti può cambiare: «Bisogna dire brevemente che il fine del tutto e della parte è rimuovere i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli a uno stato di felicità» (XIII, 39 [15]). Tale finalità mette in moto un cammino di liberazione da ogni forma di miseria e di degrado umano (la “selva oscura”) e contemporaneamente addita la meta ultima: la felicità, intesa sia come pienezza di vita nella storia sia come beatitudine eterna in Dio. “
“ Dante cantore del desiderio umano “ è sicuramente la parte centrale del contributo che Papa Francesco con questo suo documento dà alla figura del poeta fiorentino .”L’itinerario di Dante, particolarmente quello illustrato nella Divina Commedia, è davvero il cammino del desiderio, del bisogno profondo e interiore di cambiare la propria vita per poter raggiungere la felicità e così mostrarne la strada a chi si trova, come lui, in una “selva oscura” e ha smarrito “la diritta via”. Appare inoltre significativo che, sin dalla prima tappa di questo percorso, la sua guida, il grande poeta latino Virgilio, gli indichi la meta a cui deve giungere, spronandolo a non cedere alla paura e alla stanchezza: «Ma tu perché ritorni a tanta noia? / perché non sali il dilettoso monte / ch’è principio e cagion di tutta gioia?» (Inf. I, 76-78) “
Anche perchè “Dante si fa paladino della dignità di ogni essere umano e della libertà come condizione fondamentale sia delle scelte di vita sia della stessa fede. Il destino eterno dell’uomo – suggerisce Dante narrandoci le storie di tanti personaggi, illustri o poco conosciuti – dipende dalle sue scelte, dalla sua libertà: anche i gesti quotidiani e apparentemente insignificanti hanno una portata che va oltre il tempo, sono proiettati nella dimensione eterna. Il maggior dono di Dio all’uomo perché possa raggiungere la meta ultima è proprio la libertà, come afferma Beatrice: «Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate» (Par. V, 19-22). Non sono affermazioni retoriche e vaghe, poiché scaturiscono dall’esistenza di chi conosce il costo della libertà: «Libertà va cercando, ch’è sì cara, / come sa chi per lei vita rifiuta» (Purg. I, 71-72). “ Perchè infine come Papa Francesco dice nel capitolo :” L’immagine dell’uomo nella visione di Dio “ : “ E infine, al centro della visione ultima, nell’incontro col Mistero della Santissima Trinità, Dante scorge proprio un Volto umano, quello di Cristo, della Parola eterna fatta carne nel seno di Maria: «Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza […]. Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta de la nostra effige» (XXXIII, 115-117.127-131). Solo nella visio Dei si placa il desiderio dell’uomo e termina tutto il suo faticoso cammino: «La mia mente fu percossa / da un fulgore in che sua voglia venne. / A l’alta fantasia qui mancò possa» (140-142).
Al termine di Candor Lucis Aeternae papa Francesco non poteva non richiamare l’attenzione su “ Le tre donne della Commedia: Maria, Beatrice, Lucia “.
Infatti : “ Cantando il mistero dell’Incarnazione, fonte di salvezza e di gioia per l’intera umanità, Dante non può non cantare le lodi di Maria, la Vergine Madre che, con il suo “sì”, con la sua piena e totale accoglienza del progetto di Dio, rende possibile che il Verbo si faccia carne. Nell’opera di Dante troviamo un bel trattato di mariologia: con accenti lirici altissimi, particolarmente nella preghiera pronunciata da San Bernardo, egli sintetizza tutta la riflessione teologica su Maria e sulla sua partecipazione al mistero di Dio: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio, / tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, che ’l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura» (Par. XXXIII, 1-6). L’ossimoro iniziale e il susseguirsi di termini antitetici evidenziano l’originalità della figura di Maria, la sua singolare bellezza. “
“All’inizio del faticoso itinerario, Virgilio, la prima guida, conforta e incoraggia Dante a proseguire perché tre donne intercedono per lui e lo guideranno: Maria, la Madre di Dio, figura della carità; Beatrice, simbolo di speranza; Santa Lucia, immagine della fede. Così, con parole commoventi, si presenta Beatrice: «I’ son Beatrice che ti faccio andare; / vegno del loco ove tornar disio; / amor mi mosse, che mi fa parlare» (Inf. II, 70-72), affermando che l’unica sorgente che può donarci la salvezza è l’amore, l’amore divino che trasfigura l’amore umano. Beatrice rimanda, poi, all’intercessione di un’altra donna, la Vergine Maria: «Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo ’mpedimento ov’io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange» (94-96). Quindi interviene Lucia, che si rivolge a Beatrice: «Beatrice, loda di Dio vera, / ché non soccorri quei che t’amò tanto, / ch’uscì per te de la volgare schiera?» (103-105). Dante riconosce che solo chi è mosso dall’amore può davvero sostenerci nel cammino e portarci alla salvezza, al rinnovamento di vita e quindi alla felicità. “
Una riflessione quella di Papa Francesco che termina ponendo una serie di domande sulla figura del poeta fiorentino e sulla sua opera ma che ci offre anche delle motivazioni essenziali per rileggere la sua opera , in particolare la divina Commedia .
Ma l’opera del Sommo Poeta suscita anche alcune provocazioni per i nostri giorni. Cosa può comunicare a noi, nel nostro tempo? Ha ancora qualcosa da dirci, da offrirci? Il suo messaggio ha un’attualità, una qualche funzione da svolgere anche per noi? Ci può ancora interpellare?
Dante – proviamo a farci interpreti della sua voce – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità. Il viaggio di Dante e la sua visione della vita oltre la morte non sono semplicemente oggetto di una narrazione, non costituiscono soltanto un evento personale, seppur eccezionale.